Alessio Boni a Verissimo: “Quelle volta con un uomo…”

Alessio Boni, Verissimo

Alessio Boni, ospite a Verissimo, ha sottolineato: “A Roma ero all’accademia Silvio D’Amico, tra un anno e l’altro c’era un produttore americano che parlava di una nuova star italiana. Era venuto a fare provini, che diceva che sarebbe diventato un grande. Io a 22-23 ci credevo. Mi sceglie. Non ci avevo neanche pensato perché mi ha presentato la moglie e il figlio. Mi ha fatto solo un avances, l’ho rifiutato e sono tornato a casa“.

Sono molto belle le sue parole: “Ho tantissimi amici omosessuali, non ho niente contro di loro. Ma deve essere amore e non un contratto per fare carriera. Il mio amore si chiama Nina e vorrei una figlia”.

Alessio Boni, Verissimo: “Ecco come sono diventato attore”

Spiega il passato a Roma: “Ero un giovane di provincia nella grande città. Portavo avanti gli insegnamenti dei miei genitori. Dopo che mi avevano preso all’accademia, eravamo 800 e ne prendevano 18, ero felicissimo. Divento attore per caso, poteva anche non piacermi il teatro. Ho fatto l’animatore come Fiorello prima. Torno e mi fermo a Roma, c’era il mio amico Alessandro un velista. Mi dice che aveva un biglietto in più per il Teatro Sistina. E io chiesi se mi dovevo mettere la cravatta“.

Continua: “Mi piaceva, io volevo fare questo, mi piaceva. Mi dicevano di lasciare stare, ma io ero all’accademia Silvio D’Amico il giorno dopo. Il bando era passato. Trovo una scuola privata e entro per capire che Stanislavski non era un centravanti della Russia, ma un importante pedagogo. Comincio così a capire come si parla addirittura, per me era normale come lo facevo“.

Il passato

Sul suo passato specificava: “Io da babysitter? Li avrei ammazzati. (ride ndr) L’ho fatto per tre mesi, li tenevo e poi siamo diventati amici. Poi mi sono licenziato. Ho trovato il lavoro al delivery e lanciavo i giornali. Era tutto molto complesso. Avevo però la grinta“. Passa poi a parlare dei fotoromanzi di inizio carriera: “Facevo l’accademia di arte drammatica, ti devi adagiare. Eravamo in cinque a casa e dovevamo pagare l’affitto. Grand Hotel e Lancio, allora andavano. Io facevo il cameriere ma prendevo 50mila lire. Questi mi chiamavano due volte al mese, io facevo i salti mortali. Mi davano 500mila lire e dovevo mantenermi ero felice. Era semplice. Facevo qualsiasi cosa per mantenermi, non volevo assolutamente apparire”.

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