“Last Vegas”: la recensione

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“Don Fogelman mi propose questa storia e io ne rimasi completamente infatuata. Non solo era divertente, ma aveva un realismo solido ed emozionante nel quale un pubblico adulto si poteva identificare. È la storia di quattro persone che si ritrovano e ricordano i motivi della loro amicizia così duratura e intensa e cosa ognuno rappresenta nella vita degli altri. Allo stesso tempo il racconto non è accomodante verso di loro o verso la loro età”.

La produttrice Amy Baer ricorda così la genesi di “Last Vegas”, che, diretto dal Jon Turteltaub cui dobbiamo “Il mistero dei templari” e il suo sequel “Il mistero delle pagine perdute”, apre negli anni Cinquanta con quattro ragazzini in scena, per poi spostarsi a cinquantotto anni dopo e mostrarceli, più che cresciuti, con le fattezze di Michael Douglas, Robert De Niro, Morgan Freeman e Kevin Kline.

L’interprete di “Dietro i candelabri”, infatti, veste i panni di Billy, ricco avvocato di Malibu che, decisosi a sposare la propria giovane compagna nonostante la fama di eterno scapolo, organizza il suo addio al celibato a Las Vegas portando con se i tre migliori amici: il vedovo depresso Paddy, ovvero De Niro, Sam alias Kline, andato in pensione troppo presto, e Archie, cui concede anima e corpo Morgan Freeman, letteralmente confinato in casa dal figlio iperprotettivo.

Quattro leggendari premi Oscar destinati a sguazzare tra sexy ragazze poco vestite, scatenate feste in discoteca e vincite al gioco, man mano che prende forma l’oltre ora e quaranta di visione cui si aggiunge presto la Mary Steeburgen del terzo “Ritorno al futuro” nel ruolo di Diana, avvocato fiscalista di Atalanta che si è ritrovata a cantare in un piccolo locale della città del divertimento dove nessuno la ascolta davvero.

L’oltre ora e quaranta di visione che, come c’era da aspettarsi, vuole essere prima di tutto una storia di amicizia non priva di velo malinconico; man mano che i fotogrammi scorrono via veloci dispensando una buona dose di risate e che l’elemento vincente si rivela essere la capacità da parte dell’eccellente poker di protagonisti di prendersi in giro a causa della loro età ormai avanzata (aspetto curiosamente sperimentato dallo stesso De Niro nel contemporaneo “Il grande match”).

Quindi, possiamo appoggiare tranquillamente l’osservazione del produttore Laurence Mark: “Credo che questa sia una storia divertente e toccante allo stesso tempo e Dan Fogelman è uno scrittore straordinario che riesce a far confluire in un racconto sia l’aspetto divertente che quello commovente con grande maestria. Ognuno dei personaggi che Dan ha creato parte per un viaggio che a volte è più intenso che comico – ed è proprio dal realismo con cui viene raccontato questo viaggio che arriva gran parte del divertimento, dalla facilità con cui ti ci puoi immedesimare”.

Francesco Lomuscio

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