BLOW UP –
Nazione: Gran Bretagna/ Italia
Regia: Michelangelo Antonioni
Soggetto: Michelangelo Antonioni; Julio Cortazar
Sceneggiatura: Michelangelo Antonioni; Tonino Guerra; Edward Bond
Musica: Herbie Hancock
Cast: David Hemmings; Vanessa Redgrave; Sarah Miles; John Castle; Peter Bowles; Jane Birkin; Gillian Hills; Peter Bowles; Verushka; Julian Chargin; Claude Chargin
Durata: 111’
Valutazione * * * * / * * * *
Trama
Thomas è un fotografo, un giorno mentre fa qualche scatto in un parco viene rincorso da una donna che vuole il suo rullino. Da quello scoprirà che dietro c’è un tentato omicidio.
Recensione
Michelangelo Antonioni per la prima volta si confronta con il cinema americano, apprendendone stili e costumi anche se il film viene in gran parte girato in Gran Bretagna. L’opera è uno dei più sensazionali e sentiti doni all’immagine in quanto tale, e risulta a un occhio esperto studiato proprio per questo. Ogni singola inquadratura è tarata secondo le esigenze cinematografiche e ogni singolo piano fa scorgere dietro una minuziosa preparazione. Quello del colore è poi un vero esperimento, Antonioni cerca di destabilizzare l’occhio del pubblico portando le tinte e le luci da toni caldi a toni freddi; con un viola che è sempre predominante, come non citare la porta che chiude la camera oscura o i vestiti delle belle ragazze. Si trionfa insomma in una vera e propria orgia di colore che coinvolge spesso ragazze bellissime e magrissime, da citare il gioco di montaggio tra il protagonista e le due ragazze semi nude in cui il tasso di erotismo è altissimo ma dalla quale scena l’occhio non vedrà mai nulla di proibito. Il riferimento ai colori è un chiaro omaggio alla cultura pop che andava a svilupparsi in quel periodo e di fronte all’elica acquistata da Thomas ci viene subito da pensare alla decontestualizzazione degli oggetti effettuata da Duchamp.
L’uso della macchina da presa è evidentemente oculato e passato per le mani di un maestro e come detto prima sono usati tutti gli stilemi della cinematografia internazionale e allora è una fiera di primi piani; mezze figure ; piani americane; panoramiche soprattutto orizzontali e via dicendo. L’impressione è che il regista ci voglia dire che la visione e l’immagine superano nettamente la realtà e questa idea ci viene filtrata tramite un finale che capiranno in pochi una partita di tennis tra mimi e senza palla. Thomas capirà il gioco e si scorderà dell’omicidio e del colpevole capendo anche lui che non è importante il che ma il come. Rilancerà la palla immaginaria oltre la rete verso i mimi e dimostrerà una chiara intenzione stilistica che prevede senza dubbio un interesse spudorato e senza mezzi termini per l’immagine, un po’ quello che farà con sapienza più tardi Jean Luc Godard con Passion.
La pellicola porterà molti autori a riflettere da Francis Ford Coppola che nel ’74 con La conversazione si adatterà a rielaborare il gesto sul suono invece che sulla visione e Brian De Palma che citerà Antonioni addirittura nel titolo con Blow out.
Breve accenno al telefono bianco di Thomas che ricorda un particolare periodo del cinema italiano ante guerra.
Un’opera che nella sua complessità non ci racconta niente ma non ci annoia mai, che spesso è fatto più di sguardi che di parole e dove a volte ci troviamo di fronte a intere sequenze senza nessun accompagnamento né vocale né musicale ma solo di quello naturale dei passi e dei movimenti per farci capire che per fare cinema non bisogna per forza dire qualcosa ma a volte basta farla vedere.
Matteo Fantozzi