Felice Antignani, ESCLUSIVA: intervista al filmmaker e produttore indie

Abbiamo intervistato Felice Antignani, classe ’82, legale di affari, filmmaker e regista indie di origini campane e cilentane.

Felice Antignani

Come nasce Felice Antignani regista e produttore?

“Sin da bambino, ho sempre nutrito una forte passione per il cinema, che nel corso del tempo è cresciuta, diventando sempre più grande. Nel mio secondo anno a Milano nel 2014, ho deciso di partecipare a un corso di scrittura creativa patrocinato dal Comune e dalla Regione. Durante questo corso, ho conosciuto uno dei miei due attuali soci della nostra casa di produzione indipendente, la Ordinary Frames, Alessandro Amato (giornalista e accademico) che, a sua volta, mi ha presentato un suo caro amico, un filmmaker con esperienza di studi a New York. L’esperienza è nata con la produzione di un piccolo cortometraggio, Ordinary People, scritto da Alessandro e diretto dall’altro socio, Nicolò. Sentivo proprio l’esigenza di fare qualcosa in ambito cinematografico, ma nel 2014 non avevo ancora le idee chiare. Come ho avuto la possibilità di produrre questo corto, da lì in poi mi sono dedicato alla scrittura e ho realizzato la mia prima sceneggiatura, che è quella del mio corto Sottopelle. Ho trovato la mia strada dopo la prima esperienza produttiva, scrivendo e dirigendo tuttavia senza avere una formazione di studi di cinema, poiché autodidatta.”

Quali sono state le tue fonti di ispirazioni e – soprattutto – perché sei autodidatta?

“Da bambino e da ragazzino, il cinema che guardavo era, per la quasi totalità, quello statunitense degli anni Novanta, quindi è la mia fonte di ispirazione con particolare attenzione ai thriller, ai noir e ai film drammatici. Ho una predilezione per il crime movie e i thriller, tuttavia senza disdegnare la fantascienza, l’horror, il western e tutti gli altri generi. Due fonti di ispirazione, per me, sono i registi Michael Mann e Brian De Palma, senza dimenticare Ridley e Tony Scott e David Fincher, del quale vidi Seven all’età di dodici anni.”

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Terminato il lavoro sul set, cosa rimane dentro di te?

“Le esperienze sul set sono state simili ma, al contempo diverse così come gli effetti su di me. Con il mio primo cortometraggio (da me scritto e diretto), Sottopelle, alla fine delle riprese è rimasto un grande entusiasmo quindi, la mia passione per il cinema, ne è uscita rafforzata. Stessa cosa per il mio secondo cortometraggio, Velluto bianco, da me solo diretto. Con Senza tempo, invece, si è verificato qualcosa in più: essendo un’opera molto professionale, si è rivelata un’esperienza abbastanza provante. Essendo ambientato in parte a Milano e, per il resto, nel Cilento, mia terra di origine dove torno tutte le estati, per me è stata un’esperienza molto, molto dura perché, quando scavi dentro te stesso, tiri fuori dei ricordi e ne esci provato. Sono rientrato a Milano dopo aver girato per cinque giorni consecutivi e, per le due settimane successive, ho provato apatia, non riuscivo più a emozionarmi, a far nulla. Cosa, per me, difficile poiché concepisco il cinema come emozione, pretendo che il cinema mi emozioni. Questo è successo perché, scavando dentro me stesso sul set, ho ritrovato dei ricordi, delle esperienze personali che ho rivisto durante le riprese. Da un lato sì, è stato un lavoro sofferto ma, dall’altro lato, rimane il lavoro a cui sono più legato. Da una parte c’è un forte dispendio di energie psicologiche più che fisiche poiché, nel durante, sei pieno di adrenalina mentre, nei giorni successivi, accusi la stanchezza fisica. Con Senza tempo, c’è stata una forte stanchezza a livello psicologico però, rivedendo il lavoro finale, mi sono reso conto che raccontare te stesso è un’esperienza provante ma, al tempo stesso, molto bella.”

Come vedi il futuro del cinema dopo il duro colpo della pandemia di Covid-19?

“C’è un problema enorme, ossia quello che le persone si stavano già disaffezionando alle sale cinematografiche soprattutto per effetto delle piattaforme di streaming che, sicuramente, hanno i loro vantaggi però, nel momento in cui un film non esce più in sala ma direttamente per la piattaforma di streaming, nel caso delle nuove generazioni queste non vanno in sala ma usufruiscono, direttamente, dello streaming. La pandemia, credo che abbia dato il colpo definitivo e penso che sarà molto difficile riportare gli spettatori in sala dopo questa esperienza. Magari, gli spettatori più grandi andranno ugualmente al cinema perché, l’esperienza della sala è unica. Certo, lo streaming è comodo, puoi vedere i film dove vuoi ma questo non può sostituire le emozioni della sala cinematografica.”

Felice AntignaniÈ possibile replicare l’esperienza della sala comodamente a casa con lo streaming?

“È veramente difficile perché, a casa, devi avere un impianto visivo e sonoro che sostituisce la sala. La maggior parte delle persone, guarda i film sui device, ma non restituiscono le stesse sensazioni a livello emozionale. Apprezzi il film, ma non è la stessa cosa. Al cinema, non puoi mettere in pausa mentre lo streaming lo permette, dà la possibilità di distrarsi e recuperare la scena. Quindi, questa, è una percezione falsata.”

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Ci sono nuovi progetti per il tuo futuro?

“Sì, ho scritto a quattro mani, insieme al mio socio Alessandro, un nuovo corto che si intitola Cani affamati, che è un omaggio al thriller e al noir italiano degli anni Settanta come quello di Fernando Di Leo. Il titolo stesso è un omaggio a Cani arrabbiati di Bava. È un crime movie, genere in cui io mi immedesimo. È un crime puro poiché, a differenza di Senza tempo che ha anche delle sfaccettature romantiche, con Cani arrabbiati si parla di crime puro. Contavo di girarlo la scorsa primavera ma, con la situazione Covid, ho riprogrammato le riprese per fine gennaio/inizio febbraio 2021 interamente a Milano e in interni”.

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