La Montagna Sacra, un capolavoro di Alejandro Jodorowski

LA MONTAGNA SACRA JODOROWSKI –
Titolo originale: La montana sagrada
Nazione: Messico/ Usa
Regia: Alejandro Jodorowsky
Sceneggiatura: Alejandro Jodorowsky
Musica: Don Cherry; Ronald Frangipane; Alejandro Jodorowsky
Durata: 114’

Valutazione * * * ½ / * * * *

Trama
Un ladro riesce a raggiungere in cima a una torre dove un vecchio alchimista gli promette la vita eterna. Dovrà subire un lungo viaggio iniziatorio insieme ad altri sette ladri ma di altro calibro e fama. La strada per la montagna sacra sarà irta e pericolante.

Recensione
Alejandro Jodorowsky dopo El topo si concede un film ancora dalla più difficile realizzazione e si prende nuovamente lo scettro di re semi-moderno del surrealismo cinematografico. La pellicola è dipinta su una tela proprio come si fa con un vero e proprio quadro, ma di quelli d’autore dove ogni particolare collima in un’atmosfera che vuole premiare la metafora e l’allegoria. Il film in un primo momento appare agli occhi dello spettatore un pretenzioso gioco virtuistico ma poi si apre come uno splendido arcobaleno mostrando, come forse solo Jean Luc Godard sapeva fare e meglio, come il cinema a volte non voglia dire solo narrazione ma anche immagine. Solo dopo molti fotogrammi si potrà capire concretamente che ci troviamo di fronte a un’orgia di colori e di sentimenti, di riflessioni e pesanti critiche. Come per stessa ammissione del regista ci troviamo dentro un Fellini al cubo, dove gli sguardi del regista romano erano insistenti la macchina da presa di Jodorowsky scava nella profondità di una ricerca analitica che può essere un interessante studio. E questo riesce bene perché nella prima mezz’ora non viene pronunciata nemmeno una parola, solo suoni e lamenti che fanno da contorno a immagini che sicuramente toccano tasti violenti della nostra anima e ci lasciano senza parole. Il coraggio è quello di andare contro le istituzioni religiose con insistenza e senza la minima vergogna; provando addirittura a sconfessare miti che sembravano più che certi. La forzatura semmai deriva dal voler mettere troppa carne sul fuoco ma il risultato è di quelli che annientano definitivamente e come dirà Massimo Monteleone, se con El topo ci trovavamo di fronte a una forte sensazione con La montana sagrada riceviamo un vero e proprio cazzotto nello stomaco.
Ma soffermandoci sulla prima mezz’ora non possiamo che commentare l’orrore che vedono i nostri occhi. Ci troviamo di fronte alla sequenza più surreale e allucinata che forse la storia del cinema abbia proposto. Ben lontano da quello che disse Bunuel col suo Chien Andalou e sicuramente al di fuori di ogni contesto. Assistiamo a freaks che si contorcono; ad animali di ogni tipo tra cui delle rane vestite da crociati; a un ballo in maschera con i cavalieri con la maschera a gas, tutte sostanze che portano verso un protagonista, il ladruncolo, che non è dichiaratamente Gesù Cristo ma è ovvio che sia lui. Dal fatto che in alcune situazioni si trovi addirittura lapidato sulla croce, e non solo per la straordinaria rassomiglianza.
La svolta in chiave diegetica avviene quando il nostro protagonista si incontra con un misterioso alchimista che gli propone la vita eterna in cambio di un lungo viaggio di iniziazione. Continuano le metafore religiose, continua l’essere associato a Cristo, ci troviamo attorno a un filo rosso. “Il Cristo” viene battezzato e viene profondamente astratto il concetto di vita anche tramite espressioni del genere: “Non sei che merda, vuoi cambiare te stesso in oro?” inizia la trasformazione in materia eterna.
Dopo l’incontro con gli altri sette ladri che sono sette uomini e rappresentano sette uomini si inizia un viaggio che tra una metafora e l’altra funge da iniziazione con la speranza che l’immortalità si può raggiungere. Tutto attraverso la totale spersonalizzazione del loro essere, per prima cosa vanno bruciati tutti i loro averi; si bruciano i manichini per non avere più la realtà materica e materiale; si cerca di arrivare a dimenticare l’io. Bisogna abbandonare tutto, compreso il corpo, era un prestito e la tomba è il simbolo della rinascita.
Per giungere a quello che è un finale metacinematografico in cui ci rendiamo conto di essere davanti uno schermo televisivo, attoniti da uno spettacolo che ci ha inchiodato per troppo tempo. Per capire che se non abbiamo trovato l’immortalità abbiamo trovato la realtà. Ma questa vita è vera? No, è tutto un film, quindi lo zoom può andare anche indietro, rompere l’illusione e la magia e capire che la vita reale ci attende. Partendo verso il miglior modo per viverla.

 

Matteo Fantozzi

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