In sala: ‘In time’, la recensione

In Time
In un futuro imprecisato, La società si riorganizza modificando geneticamente l’essere umano e bloccando il suo invecchiamento a 25 anni. Da quel momento l’orologio presente dalla nascita come un monito sotto la pelle dell’avambraccio, inizia un conto alla rovescia partendo da 1 anno, tempo che rimane a ogni abitante del pianeta da quel momento, e che potrà diminuire o aumentare, essendo la valuta corrente. Da questo spunto geniale il regista ci catapulta in un mondo che dopotutto, non è molto diverso da quello reale. Le cose vanno sempre nello stesso modo: le famiglie abbienti hanno a disposizione milioni di anni, mentre i poveri devono cavarsela con pochi giorni e con il rischio continuo di morire nel caso di azzeramento dell’orologio. Quindi i possessori di grandi patrimoni di tempo diventano pressoché immortali, ma per l’immortalità di pochi il prezzo è la continua morte di molti, morte che gli abitanti di questa realtà sono ormai stati abituati ad avere al loro fianco continuamente. Ne deriva che, mentre i ricchi se la prendono comoda e evitano attività anche solo lontanamente pericolose per non sprecare la loro immortalità, i poveri sono costretti ad andare sempre di corsa inseguendo il loro stesso tempo e qualunque minima fonte di guadagno che gli permetta di vivere più a lungo. Vengono inoltre aumentati sempre i prezzi in modo da portare alla morte un buon numero di persone, permettendo alla classe dirigente di vivere per sempre. In questo sistema di cose un uomo tenterà di combattere e stravolgere lo status quo. Andrew Niccol conferma ancora una volta di saper fare fantascienza intelligente come già nel bellissimo Gattaca, e di saper creare mondi immaginifici profondamente strutturati. Realizza inoltre un film godibilissimo, guardando anche all’aspetto commerciale e ludico del prodotto, inserendo molte scene D.spettacolari e ad alto tasso di adrenalina. Una scena fra tutte, quella in cui il protagonista Will Salas duella a braccio d’acciaio con un ladro di tempo mettendo in palio la sua stessa vita. Un’altra molto suggestiva è la scena della morte della madre di Will all’inizio del film, ripresa poi nel salvataggio della protagonista femminile Sylvia alla fine. Il film certo non manca di difetti: l’eccessiva linearità del racconto, le scelte a volte incomprensibili del protagonista, la confezione troppo patinata, Amanda Seyfried che fugge su tacchi altissimi e non si scompone mai neppure un capello. Però sono gocce nel mare di una storia coinvolgente e ben diretta. Inoltre, sotto la superficie di buona confezione da film d’azione la trama suggerisce diversi temi pregnanti. Sarebbe forse troppo facile notare che qui il modo di dire “il tempo è denaro” deve essere preso alla lettera, ma nel film c’è una scelta stilistica nel definire i colori, gli indumenti e i comportamenti dei cittadini a seconda della loro classe sociale e quindi del tempo a loro disposizione. Ed è un esperto di questi comportamenti il meraviglioso personaggio dell’agente controllore del tempo, interpretato dal bravissimo Cillian Murphy, talmente ossessionato dal suo lavoro da riuscire a prevedere sempre i movimenti delle persone che insegue a seconda di quanto tempo hanno a disposizione. Questa ossessione diventerà la causa della sua stessa morte. Dirompente poi il cocktail formato dai due protagonisti, che, novelli Robin Hood, sebbene per motivazioni differenti, scardinano il sistema nel quale vivono. Il connubio fra di loro funziona proprio per le loro differenze. Lui, Will Salas, abituato a correre ogni giorno con pochi “spiccioli” di tempo, forse davvero vive la sua vita molto più di Sylvia, costretta dall’infinito tempo a disposizione della sua famiglia a fare attenzione ad ogni più piccolo pericolo e a vivere in una dimensione ovattata che però non è vera vita. Per questo la sua indole ribelle la porterà a seguire Will. Ma come già in Blade Runner il creatore di replicanti Tyrell dirà a Roy Beatty “la luce che arde al doppio di splendore brucia per metà tempo” così vivranno i due protagonisti, correndo dei rischi per quello in cui credono. E forse suggerendo quello che è il concetto di fondo di questo film. Nella nostra moderna società dimentichiamo spesso lo scorrere del tempo, impiegandolo a volte in inutili attività, come forse la classe dirigente vuole, per allontanare la nostra attenzione dalle incredibili iniquità del Sistema. Così facendo evitiamo di impegnarci per cambiare le cose e spesso non viviamo appieno le nostre vite. Forse ci vorrebbe un orologio, a perenne monito, per ricordarci di non sprecare il tempo prezioso che ci è stato concesso.

Dario Pittaluga

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