Una porta che si apre senza rumore può cambiare il ritmo di un’intera storia. A volte la svolta non è una sentenza, ma un gesto concreto: un banco di lavoro, una pala da pizza, il vento che spinge una vela.
Il nome di Chico Forti torna al centro del dibattito tra diritti, reinserimento e responsabilità. Negli ultimi mesi la sua vita in cella ha conosciuto piccoli passaggi di normalità. A febbraio i primi permessi per visitare la madre a Trento. A giugno l’accesso alle aule studio interne. Segnali che non fanno rumore, eppure segnano un percorso.
C’è anche un’ombra recente, utile a capire il quadro. A settembre il tribunale aveva respinto la richiesta di liberazione condizionale. Pesavano due elementi: l’assenza di “sentimenti di colpa o autentico dispiacere” per i familiari della vittima e il mancato risarcimento del danno, anche solo parziale. Un rilievo formale e sostanziale, atteso in casi di condanna definitiva.
La legge italiana prevede gradazioni nel trattamento penitenziario. L’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario (L. 354/1975) consente, su valutazione del rischio e del comportamento, il lavoro o la formazione all’esterno e attività di utilità sociale, sotto controllo dell’autorità di sorveglianza. È uno strumento mirato: non anticipa la libertà, ma apre canali di responsabilizzazione. Linee guida e prassi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria confermano che il provvedimento si fonda su condotta regolare e affidabilità, con vincoli precisi di orario e tracciabilità.
Il punto arriva ora, ed è pratico. Il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha concesso a Forti il permesso di lavorare fuori dal carcere di Verona, su istanza della direttrice dell’istituto. Lo riferisce con dettagli circostanziati Il Gazzettino. Il programma comprende un corso di formazione per pizzaioli, volontariato con anziani e lezioni di windsurf ai disabili. Una triade insolita, ma coerente con lo spirito dell’art. 21: competenze spendibili, restituzione alla comunità, relazione con contesti fragili.
Nel concreto, un permesso ex art. 21 significa turni definiti, luoghi autorizzati, controlli documentati. Non sono stati diffusi, al momento, orari, durata e soggetti ospitanti: dati non disponibili pubblicamente. Resta la sostanza. La cucina è un ponte immediato verso il lavoro. Un banco impastato di farina insegna disciplina, tempi, collaborazione. Il volontariato tra gli anziani apre a un ascolto che nessun manuale allena. E il windsurf inclusivo ha un valore simbolico potente: equilibrio, regole, fiducia reciproca. Il vento non guarda il casellario.
C’è un aspetto interessante, anche politico-criminologico. La negazione della liberazione condizionale non impedisce misure trattamentali parziali. Strade parallele, obiettivi diversi. Il giudice di sorveglianza valuta il pericolo e il senso del percorso, non decreta un’assoluzione emotiva. Qui pesa anche la proposta della direzione penitenziaria: chi vede ogni giorno il detenuto segnala progressi e limiti. È una responsabilità che mette in rete istituti, tribunali, territorio.
Restano le domande aperte. Il tema del pentimento e del risarcimento non si elude con un grembiule pulito. Ma forse la giustizia, quando lavora bene, pretende due misure insieme: rigore e possibilità. Farina sulle mani, una tavola apparecchiata, una vela che si alza. Quanto spazio lasciamo, come comunità, a un cambiamento che si misura in gesti e non in slogan?
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