Lone Survivor, (soprav)vivere e morire in Afghanistan

Lone Survivor è un crudo e realistico war movie tratto da una storia vera e diretto da Peter Berg. Stasera in onda su Mediaset 20 alle 21:04

Lone Survivor

 Afghanistan, giugno 2005: al team di Navy SEALs formato dal tenente Michael “Mike” Murphy (Taylor Kitsch), dallo specialista di comunicazioni radio Danny Dietz (Emile Hirsch) e dai tiratori scelti Marcus Luttrell (Mark Wahlberg) e Matt “Axe” Axelson (Ben Foster) è affidata una delicata quanto complessa missione: intercettare Ahmad Shah, un pericoloso esponente di Al-Qaida che ha massacrato venti Marines e, così, dar luce verde alla squadra d’assalto pronta a eliminarlo. Infiltratisi sulle montagne afghane, i quattro SEALs iniziano ad avere difficoltà nel comunicare via radio con la base. Per di più, vengono sorpresi da un gruppo di pastori. Messi alle strette e con la copertura saltata, i quattro uomini decidono di battere in ritirata. Durante l’esfiltrazione, sono circondati da numerosi combattenti talebani: è solo l’inizio di una cruenta e letale battaglia in attesa dell’arrivo dei rinforzi.

Dalla metà della prima decade degli anni Duemila a oggi, le cronistorie filmiche sulla guerra (ancora in corso) in Afghanistan e sul secondo conflitto del Golfo non sono di certo mancati: tra meri atti di propaganda patriottistica e opere ben più elevate e volte a sondare, con estrema introspezione, il lato psicologico della guerra nonché quei dietro le quinte, spesso, sconosciuti (come nel caso dei due stupendi lavori di Kathryn Bigelow, The Hurt Locker e Zero Dark Thirty), si è inserito, nel 2013, Peter Berg il quale ha deciso di schierarsi dal lato prettamente psicologico e “narrativo” del genere bellico ricostruendo in fotogrammi, per il grande schermo, i tragici momenti posti al centro di Lone Survivor.

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Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico scritto dall’unico sopravvissuto dell’Operazione Red Wings, ossia Marcus Luttrell, Lone Survivor è un crudo, spietato e disperato resoconto cronistorico di una missione fallita e della conta di diciannove morti tra membri dei Navy SEALs e del 160° SOAR. Ripulito da qualsivoglia retorica discorsiva e di propaganda e di patriottismo lasciando fuori, parallelamente, ogni possibile rimando alla politica interventista non solo degli Stati Uniti ma anche di quella internazionale, Lone Survivor riesce a dare un volto ben definito al nemico che si combatte nella guerra globale al terrore, diversamente dall’eastwoodiano e ottimo American Sniper il cui il leggendario cecchino Chris Kyle (tra l’altro, commilitone di Luttrell durante il corso di addestramento) manteneva sempre, col suo fucile di precisione, la distanza di tiro tra lui e le sue nemesi lasciando ampio spazio, in questo modo, ai risvolti psicologici e traumatici della guerra.

Lone Survivor: un film di guerra tra storia e realismo

Lone Survivor

Lone Survivor, che ha preceduto di due anni il film di Clint Eastwood, si concentra sull’aspetto prettamente umano, sulla precarietà dei combattenti di professione che vanno al fronte, consci della pericolosità del proprio mestiere delle armi, vivendo le loro giornate in un loop in cui i fischi delle pallottole che solcano l’aria e la deflagrazione assordante delle esplosioni possono tramutarsi, da un momento all’altro, in morte. Il film di Berg è una messa in immagini di come (soprav)vivere e morire in Afghanistan: decostruendo il mythos del guerriero stars and stripes, del supersoldato pronto a ogni tipo di missione e inconveniente, il regista di Boston – Caccia all’uomo e del cult Cose molto cattive, consegna allo spettatore un impietoso e drammatico affresco della fragilità umana dinnanzi agli orrori della guerra.

I SEALs di Lone Survivor sono sì delle war machine ma – ancor prima – sono degli uomini il cui corpo è fatto di carne, ossa e sangue. Corpi bersaglio, quelli cristallizzati nelle immagini-movimento di questo intenso war movie, che non rimangono intatti bensì, sotto il fuoco nemico, si lacerano, squarciano, spezzano e sanguinano. Dettagli visivi, questi, da chirurgica perizia e che, mediante il massiccio ma non invadente utilizzo della steadicam embedded – e dei close-up ravvicinati sui volti sanguinanti che esprimono dolore e paura – trascina gli occhi dello spettatore in quel cruento e mortale scontro a fuoco tra i boschi afghani, in mezzo a quella natura selvatica e, per certi versi, ancora immacolata ma ridestata dagli echi dei proiettili esplosi.

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War movie costruito da immagini e sequenze – veramente – crude  e ai limiti della sopportazione visiva, Lone Survivor colpisce duro e tramortisce con tutta la sua carica di realismo, consegnando una disperata e annichilente porzione di realtà come quella della guerra. Tra senso del sacrificio e fratellanza di quei brothers in arms dispiegati nelle più pericolose geografie del globo terrestre, Lone Survivor – al pari di American Sniper – non dà alcun tipo di giudizio né, tantomeno, mostra vincitori o vinti: semplicemente, porta a conoscenza di come, un drappello di uomini, abbia avuto il coraggio di fare la cosa giusta.

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