…E tu vivrai nel terrore l’Aldilà, Simone Scafidi ESCLUSIVA: “Una gemma rara”

Simone Scafidi è l’autore di …E tu vivrai nel terrore l’Aldilà, libro di analisi del film di Lucio Fulci uscito per Santelli Editore. L’abbiamo ascoltato ai nostri microfoni.

L’aldilà, 40 anni dall’uscita. Cosa significa questo film per la storia del cinema?

Non lo sappiamo ancora. Sembra paradossale a dirsi, essendo uscito nel 1981, ma L’aldilà vede la sua fama, la sua forza crescere di anno in anno nel mondo intero. Qual è il suo posto nella storia del cinema, mondiale e italiano? Quella di una gemma rara, di un’opera ancora realmente da scoprire e ammirare. All’epoca dell’uscita non gli si perdonò la componente gore – invece fondamentale per dare forma all’orrore al centro del film, alla distruzione del corpo e del volto -, oggi non si riesce ancora a vedere che la sua bellezza va al di là del genere. Si tratta di un film che non si deve necessariamente accostare solo ad altre opere horror, ma che sarebbe ora di affrontare come si fa con un film di Antonioni o di Tarkovskij, di Murnau o di Herzog. Nel senso che Fulci ha creato un mondo tangibile e rarefatto come facevano i maestri citati, ma in un modo che non assomiglia a nient’altro. E l’ha fatto all’interno di una produzione nata per essere di consumo. Non è cosa da tutti.

Perché Lucio Fulci veniva considerato il terrorista dei generi?

Perché fu lui stesso a dirlo, per rivendicare l’idea che in ogni genere avesse lasciato la sua firma. Personalmente, non ne sono convinto. Fulci è sempre stato un grande regista, dalla cura della messa in scena alla gestione della frammentazione visiva, ma i generi in cui ha dato il meglio di sè, in cui è stato il vero Fulci sono l’horror, il thriller e singoli titoli di altri generi, come Luca il contrabbandiere o I quattro dell’apocalisse. Fulci ambiva a essere un regista di commedie, di dirigere i grandi colonnelli come Gassman e Tognazzi. Era la sua ambizione di fustigatore dei costumi. E lui ha fustigato, ha colpito, ha sferrato colpi impressionanti. Ma nel genere a lui consono, l’horror, quello in cui forse è capitato per caso ma in cui ha trovato il vero se stesso.

Questo film è sempre stato sottovalutato, messo dietro anni luce rispetto a Suspiria. Non pensa sia un peccato?

L’aldilà ha scontato il fatto di essere nato come imitazione – lo stesso produttore Fabrizio De Angelis, a partire dalla scelta del titolo, ha dichiarato di inseguire Inferno di Argento -, mentre La maschera del demonio fu il vero apripista del Gotico italiano e Suspiria il primo horror di Argento. Ma, progressivamente, L’aldilà ha mostrato di avere un linguaggio visivo, ritmico, una capacità di fondere orrore e poesia che non è riscontrabile in nessun altro film. Ancora oggi è sottovalutato, anche dagli stessi fulciani, che spesso gli preferiscono la maggiore razionalità narrativa di Quella villa accanto al cimitero o la ‘denuncia sociale’ presente in Non si sevizia un paperino. Due grandi film, ovviamente, ma L’aldilà ha una potenza visiva che pochi altri titoli hanno, ha una capacità di inscenare un mondo infernale che ti commuove per la sua inafferrabile bellezza. Suspiria è opera, a partire dall’aspetto produttivo, molto più ricca, studiata di L’aldilà, ma le due pellicole hanno in comune la stessa rara qualità: di non assomigliare a nessun altro film, nemmeno a quelle dalle quali hanno attinto.

Da che cosa nasce la sua voglia di scrivere questo libro?

Mi è stato proposto, mentre stavo girando Fulci For Fake (il mio film biografico su Fulci, presentato nel 2019 nella selezione ufficiale della Mostra del cinema di Venezia), di scrivere un libro su un film di Fulci. Ho scelto subito L’aldilà, in quanto non esisteva una monografia in Italia su questa pellicola. Ho raccontato il film dalla sua genesi al culto degli ultimi anni, ma mi sono concentrato su temi che volevo io stesso da tempo approfondire. Su tutti, raccontarne la produzione intervistando persone della troupe che non hanno mai rilasciato prima interviste, come David Pash, Tullio Lullo e Fabrizio de Martino. Analizzare a fondo la forma del film, individuando come in ogni singolo passaggio da un’inquadratura all’altra, da una scena a quella successiva, ci siano una potenza espressiva e uno stile che trascende le epoche. E, in ultimo, raccontare la storia della prima uscita statunitense del film, col titolo Seven Doors of Death, in cui il montaggio e le musiche vennero stravolti, decretando il parziale insuccesso di L’aldilà negli Usa, fino all’uscita a fine anni 90 della versione originale, che fece conoscere al pubblico americano la vera forza del film. Per approfondire questo aspetto, ho intervistato l’autore del rimontaggio, Jom Markovic, e uno degli autori del nuovo score, Ira Yuspeh, i quali mi hanno raccontato, con estrema disponibilità a cura, il lavoro comunque degno che hanno cercato di fare su indicazioni del distributore Usa di L’aldilà.

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