Pigiama Rave, Saverio Raimondo ESCLUSIVA: “La mia satira a piedi scalzi”

Saverio Raimondo porta su Rai4 il proprio late show “Pigiama Rave”, l’abbiamo incontrato in esclusiva per carpire gli ingredienti di quello che a tutti gli effetti è un successo e una scommessa vinta da parte del Servizio Pubblico.

Saverio Raimondo su Rai 4 con Pigiama Rave (Instagram)
Saverio Raimondo su Rai 4 con Pigiama Rave (Instagram)

Il talk show si modifica e non è soltanto colpa (o merito) della pandemia: il COVID-19 ha portato chiunque a cambiare le proprie abitudini. Anche la televisione, con i propri addetti ai lavori, si è dovuta adeguare. Chiamatela prevenzione o esigenza, ma attualmente se vuoi lavorare sul piccolo schermo devi adattarti: non basta, infatti, mettere segni sul palco o barriere di plexiglas per far rispettare il distanziamento. Occorre ridisegnare le scalette, cambiare priorità, per cercare di intrattenere e incuriosire tanto quanto prima. O almeno provarci. È proprio questa divisione fra pre e post Covid che disorienta: impossibile fare paragoni, né tantomeno raffronti. L’unica scelta plausibile è quella di prenderne atto e trasformare gli ostacoli – anche nell’etere radiotelevisivo – in possibilità.

Lo ha fatto (e continua a farlo) Saverio Raimondo che, con “Pigiama Rave”, porta sulla tivù pubblica un esperimento televisivo di natura crossmediale con la naturalezza di chi vive, perennemente, la propria vita sul divano in ciabatte. Rai4 ha fatto della stasi forzata degli italiani un punto di partenza. Anzi, di (ri)partenza. Raimondo mescola l’elemento della quotidianità con l’effetto sorpresa in un format che parte alle 23.15. La natura del late show nel contesto delle mura domestiche.

Saverio Raimondo: “Pigiama Rave, un programma privo di orpelli”

Pigiama Rave, Saverio Raimondo (Getty Images)
Pigiama Rave, Saverio Raimondo (Getty Images)

Tutto ciò è possibile anche con l’ausilio – fondamentale – dello streaming che colloca ospiti da ogni dove in un unico contesto con l’auspicio di dar vita a un gioioso fritto misto che alterna satira, dialettica, informazione e divertimento con precisione maniacale senza dimenticare quel pizzico di spontaneità che rende il prodotto più omogeneo e credibile. La duttilità di Saverio Raimondo, standup comedian e conduttore, si presta a questo tipo di vortice neurale: ragion per cui lo abbiamo contattato e ci siamo fatti spiegare, senza formalità ed eccessivi manierismi, il segreto di quella che a tutti gli effetti è una scommessa vinta per la tivù di Stato.

Questo programma era quello che ci voleva in tempi difficili come questi?

“Assolutamente, penso che nasca da una sorta di necessità di leggerezza, che non è un atto di superficialità né di negazione rispetto a quello che sta succedendo. Al contrario, dalla consapevolezza di quello che sta succedendo intorno a noi abbiamo deciso di fare un programma leggero che potesse – in qualche modo – contribuire ad affrontare con spirito i tempi che corrono”.

Questo l’hai sempre fatto nella tua carriera dal vivo in diversi palchi d’Italia: per te che sei (anche) un animale dal palcoscenico quanto ti toglie e quanto, invece, riesce a darti il collegamento da casa con gli ospiti sotto il profilo dell’empatia?

“Sicuramente mi manca la dimensione del live, ma ho sempre avuto la fortuna di essere più che un animale direi un animaletto da palcoscenico (ride n.d.r.). Nel senso che sono sempre riuscito a declinarmi anche su altri mezzi: dalla televisione alla scrittura, passando per la radio. In questo momento mi manca la dimensione del live, però, in un certo senso, questo mi ha costretto a concentrarmi ancor di più sulle altre dimensioni come quella televisiva. Ci troviamo a lavorare in condizioni dettate dalla necessità, però, ho cercato – e con “Pigiama Rave” cerco – di trarre giovamento da quelle che sono le limitazioni rivendicandole come una cifra stilistica. Consentono di sperimentare e di sperimentarmi in un certo qual modo; spero, quindi, che il pubblico provi empatia nei miei confronti perché mi trovo a fare un programma nelle condizioni in cui tutti quanti noi stiamo vivendo in questi mesi e in questo anno. Al tempo stesso spero di non aver fatto apparire gli ostacoli come un limite ma più come un valore aggiunto del programma”.

Abbiamo parlato degli aspetti negativi. Dal punto di vista positivo, invece, collegarsi con un ospite alle 23.15 di sera e anche oltre quanto ti restituisce nella resa della puntata? A quell’ora calano i freni inibitori e l’interlocutore tende ad essere meno impostato…

“Questo era proprio quello che cercavo e cioè che i nostri ospiti fossero più disinibiti e al loro agio possibile. Volevo un programma scalzo (ride n.d.r.): fare un programma scalzo significa non solo senza orpelli, ma anche rilassato che cammina tranquillamente anche con il rischio di beccarsi la scheggia in un piede o una verruca. Quindi l’orario e il contesto domestico, tu pensa che i nostri ospiti non si vedono arrivare una troupe televisiva a casa che inevitabilmente ti inibisce, fornisce un accesso televisivo molto più disinvolto. I nostri ospiti un minuto prima sono immersi nelle loro vite e un minuto dopo sono in diretta con noi”.

Questa modalità fa emergere una diversa natura – a tratti inedita – dei vari personaggi. Pensiamo a uno come Vespa che, solitamente, è abituato a dettare legge (fra virgolette) nei programmi in cui va. Invece con te si è trovato immerso in questa giostra particolarissima. Ritieni, quindi, che esista anche un modo diverso dalla solita impostazione nel trattamento di un’intervista?

“Ne sono convinto. Non penso che la tivù fatta con gli ospiti abbia un valore aggiunto, ritengo che all’ospite gli autori del programma debbano a loro volta cucire un abito adeguato: gli autori del programma devono lavorare affinché emergano aspetti differenti dal solito. Secondo me non è un valore aggiunto avere George Clooney ospite se non fai un trattamento giusto di George Clooney, questo vale per qualunque persona intervistata. Compreso Bruno Vespa che ringrazio molto per la generosità e l’ironia con la quale si è prestato ad un programma, dici bene, che non era il solito contenitore televisivo. È importante quando si hanno gli ospiti centrare un trattamento per far sì che sia realmente un valore aggiunto. Altrimenti l’ospite in sé non lo è mai. E poi, l’altra cosa importante, secondo me, nello specifico di “Pigiama Rave”, è andare proprio a scegliere ospiti che non ti aspetteresti all’interno di un contesto così Nouvelle Vague. Se avessimo avuto ospiti più abituati alle dirette streaming o alle dirette su YouTube, sarebbe stato meno sorprendente. Ospiti, invece, più tradizionali risultano più spiazzanti e, quindi, divertenti all’interno di un format così unofficial, diciamo”.

Il tuo programma mischia molto satira e informazione: pensi che questa duttilità, nel coinvolgere mondi opposti, sia un punto di forza oppure era meglio prima quando venivano coniugate essenzialmente satira e politica perché avevi accesso a diversi paradigmi della parodia?

“Ritengo che la satira stia attraversando tempi difficili e, quindi, interessanti. Cioè, la satira intesa esclusivamente come politica in realtà è un appiattimento della satira stessa. Infatti, l’abbiamo visto negli anni passati e lo vediamo ancora adesso, finisce con il ripetersi e non cambiare obiettivi. Quando, invece, la società cambia e, quindi, devono cambiare anche gli obiettivi della satira. Per me deve essere fatta senza prendersi sul serio: in questo la commistione di una satira su temi più controversi e temi caldi dal punto di vista sociale, culturale e sanitario con argomenti più frivoli aiuta a renderla più forte perché gli toglie credibilità. La satira non deve essere credibile, deve essere incredibile. Quindi è importante che la satira continui a muoversi nell’ambito artistico e dell’intrattenimento. È giusto che faccia parte anche del discorso critico, sicuramente, ma non deve ambire – sono certo di questo – a un ruolo superiore a quello che ha sempre avuto. Se i comici satirici cominciano a montarsi la testa, l’abbiamo visto, non è positivo (ride n.d.r.)”.

Tu dici che la satira non deve essere mai credibile, intanto però capitano anche dei cortocircuiti: il tuo discorso di fine anno fatto a “Pigiama Rave” è diventato quasi più virale di quello di Mattarella sul Web. Non c’è il rischio, oggi, che un comico – per vari motivi – venga preso maggiormente sul serio rispetto a una classe dirigente?

“Diciamo questo che io ho tenuto un discorso di fine anno, come dici tu, di buoni propositi per l’anno nuovo in accappatoio. Se i cittadini e gli elettori danno più credibilità a un uomo in accappatoio, per giunta con questa voce (ride n.d.r.), piuttosto che a un uomo in giacca e cravatta, il problema è dei cittadini in qualche modo. È opportuno che le persone sappiano leggere e io cerco, in tutto quello che faccio, di non essere autorevole. Di non essere credibile, essere ridicolo. Il mio lavoro è questo e anche mettere in ridicolo, a mia volta, la cifra con cui faccio le mie cose mi sembra sempre piuttosto chiara. Se una persona non coglie l’ironia di un uomo in accappatoio, beh, quella persona ha un problema (ride n.d.r.)”.

Era giusto ribadirlo perché viviamo in un momento storico in cui certi fenomeni partono sempre con ironia per poi sfociare in altro…

“Sicuramente noi viviamo anche nel paradosso in cui le personalità politiche cercano – con le varie operazioni – simpatia e di essere, a loro volta, ironici e giocosi. E questo, inevitabilmente, porta a un corto circuito. Sta a noi, in qualche modo, cittadini e spettatori, saper sempre distinguere i segni e i linguaggi con cui veniamo a contatto”.

Pigiama Rave, Saverio Raimondo: “I linguaggi si mescolano ma senza autorevolezza”

Saverio Raimondo (Instagram)
Saverio Raimondo (Instagram)

A proposito di linguaggi: tu vieni da un contesto televisivo come quello di Sky, ora sei in Rai, hai raccontato in un monologo che la prima volta in cui hai messo piede lì con il DopoFestival era successo il finimondo per un termine che avevi usato durante la diretta. Com’è cambiata la situazione? Hai avuto più libertà nei testi e nelle proposte?

“Ho una libertà oserei dire assoluta, sempre da intendersi con criterio e buon senso. Siamo tutte persone di mondo e sappiamo cosa si può e non si può dire. Tutto si può fare tenendo conto del contesto in cui siamo, io ho scelto di fare questo programma su Rai4 proprio perché sapevo che avrei trovato interlocutori di buon senso sicuro che mi avrebbero lasciato la libertà necessaria. All’interno di “Pigiama Rave” ho una libertà di linguaggio praticamente totale. Posso trattare tutti i temi che ritengo di dover trattare con l’umorismo che li contraddistingue. Tutte le volte che, in passato, mi sono trovato ad avere degli ostacoli da questo punto di vista è sempre stato perché, magari, gli interlocutori non avevano perfettamente chiaro con chi stessero lavorando. Io ho sempre chiesto il permesso per poter dire le cose che dico (ride n.d.r.), lavorare in una realtà come quella di Rai4 probabilmente è un grande privilegio proprio perché consente un dialogo tra me e anche la direzione di rete diretto. Quindi senza incomprensioni o equivoci”.

Tu hai scardinato le regole del talk show classico sul Servizio Pubblico: cosa manca ancora da fare secondo Saverio Raimondo?

“Questa è una buona domanda, se avessi la risposta lo starei già facendo (ride n.d.r.). Quando individuo una nuova strada comincio a percorrerla, devo dire che fare “Pigiama Rave” che sono convinto essere un esperimento giusto sia per me che in generale per il panorama mediatico italiano. Molte persone hanno commentato il programma dicendo ‘Mi sembra di vedere Internet’ anche se sto guardando la televisione. Questa cosa mi fa piacere nel senso che è proprio questo il punto: oggi come oggi parlare di Web e televisione come due cose distinte non ha più molto senso. Lo streaming lo vediamo, è in qualche modo quel territorio che accomuna tanto la televisione quanto le produzioni Web. La distinzione mediatica è sempre meno possibile. Quindi ha senso percorrerla il meno possibile: per me “Pigiama Rave” è un programma che mischia codici e linguaggi provenienti da mezzi diversi. Ormai secondo me sono sempre più imparentati e imparentabili, le distinzioni vanno sempre più diluendosi. Nell’ibridare c’è sempre una nuova strada: oggi per me è questa, domani sarà un’altra ancora”.

Questo impone dei differenti canoni rispetto alla concorrenza: prima il canone era ben definito, c’era Rai, Mediaset e poi il resto. Adesso queste dimensioni, anche nel dialogo durante la diretta, vengono assottigliate sempre di più. Questo agevola gli addetti ai lavori oppure no?

“Non do un giudizio di qualità. Non so dirti se è meglio o peggio che sia così, però, so che è così. Secondo me delle cose bisogna prenderne atto, indipendentemente dal fatto che siano giuste o sbagliate, positive o negative. È così: ormai viviamo immersi in un contesto mediale e mediatico diverso da quello di vent’anni fa, non ha più senso parlare di concorrenza nel modo in cui se ne parlava una volta. Oggi come oggi non esiste più il ‘tuo pubblico’, ma esistono pubblici diversi. Si può tentare di raggiungerli, oppure parlare a un pubblico solo. Sicuramente non è possibile ignorare tutto quello che succede al di fuori, quindi oggi un programma Rai non può ignorare quello che succede su Netflix o Mediaset o Disney Plus etc. Così vale per tutti gli editori, tutti i contenitori e gli altri prodotti. È un dialogo incessante fra prodotti mediatici tra loro diversi: secondo me, è giusto inserirsi all’interno con consapevolezza senza ignorare i fenomeni che accadono solo perché rispondono a un altro editore. Altrimenti si rischia di essere fuori dal mondo”.

Leggi anche – “Pigiama Rave”, lo (s)talk show della tivù pubblica

La satira secondo Saverio Raimondo: “Irriverente e mai credibile, deve sorprendere”

Saverio Raimondo si racconta a YouMovies (Instagram)
Saverio Raimondo si racconta a YouMovies (Instagram)

Il tuo passaggio televisivo è imperniato sul non prendersi troppo sul serio: questa visione scanzonata non cozza con la tua attività di scrittore e anche – in qualche maniera – firma di una parte della carta stampata? Il perenne salire e scendere da un pulpito a cosa porta?

“Guarda ci tengo a dire che non sono un giornalista e scrivo sempre e comunque pezzi umoristici o satirici. Non bisogna informarsi con me, io suppongo sempre che il mio sia un pubblico informato. Con le mie battute, non cerco di informare ma cerco di commentare semmai le informazioni che abbiamo. Penso che un grande limite di accesso che si può avere rispetto ai miei contenuti è che, chiaramente, per poter cogliere una serie di riferimenti che faccio bisogna essere un minimo informati. Altrimenti si perde una buona percentuale delle cose che dico, in qualche modo. Rispetto alla questione salire e scendere dal pulpito, in realtà, come avrai visto nella puntata scorsa, il mio pulpito era una tazza del cesso (ride n.d.r.). Io non salgo mai sul pulpito, quando lo faccio è sempre la parodia di un pulpito. Su questo sono molto attento e ne faccio una dichiarazione di poetica: cerco sempre di non essere mai autorevole. Quando la satira diventa autorevole diventa a sua volta – giustamente – bersaglio di satira perché deve andare contro il potere e contro l’autorità. È irriverente, quindi se la satira diventa autorevole si merita l’irriverenza a sua volta. Io cerco sempre di mettermi in ridicolo proprio per evitare salite e discese da pulpiti di ogni sorta”.

Cosa possiamo ancora aspettarci da “Pigiama Rave”?

“Continuerete a vedere di tutto, perché come avrai notato mischiamo veramente la qualunque. Mondi tra loro diversi, nomi diversi, provenienze diverse, età diverse, potete aspettarvi da un terrappiattista a un dj; da volti televisivi a scrittori, continuerete a vedere questo cocktail di intrattenimento: la mixology è una delle cifre di questo programma. Noi mischiamo e continueremo a farlo cercando di sorprendervi ogni volta un po’ di più. Ci sarà veramente di tutto”.

La campagna politica contro l’abolizione dell’anno bisestile che porti avanti procede bene, ma dall’inizio di quest’anno sembra non sia proprio quello il problema. È più una questione di segno dei tempi…

“Abbiamo l’impressione che ogni anno somigli a un anno bisestile. In realtà non dobbiamo dimenticarci che il 2020 è partito leggermente in ritardo. È iniziato, di fatto, a marzo. Forse questi primi mesi del 2021, in realtà, sono il recupero del 2020 (ride n.d.r.).

 

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Intervista a cura di Andrea Desideri

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