The Lodge, un “limbo” in terra dal quale non è possibile uscire

Uscito qualche mese fa nelle nostre sale cinematografiche, The Lodge è un interessante horror psicologico firmato da Veronika Franz e Severin Fiala

The Lodge

Sei mesi dopo la perdita della madre avvenuta per suicidio, Aidan (Jaeden Martell) e Mia (Lia McHugh) ricevono una proposta dal loro padre, Richard (Richard Armitage): trascorrere le vacanze di Natale nella casa in montagna insieme alla sua nuova compagna, Grace (Riley Keough). Fratello e sorella, che a stento accettano la presenza della ragazza, si vedono costretti ad accettare controvoglia. Giunti a destinazione e sistemati i bagagli, Richard deve rientrare per qualche altro giorno in città per via del lavoro. I tre si ritrovano, così, a convivere sotto lo stesso tetto. Presto, sinistri episodi e fatti inspiegabili iniziano a verificarsi. Isolati dal resto del mondo per via della fitta neve, Grace inizia a vivere un incubo a occhi aperti, reso ancora più tremendo dal suo passato traumatico.

Negli ultimi dieci anni il cinema horror è riuscito a (ri)trovare una inedita originalità e il giusto spessore: ne sono esempi, giusto per citarne un paio, titoli come It Follows di David Robert Mitchell o Noi di Jordan Peele ai quali si aggiunge, in ordine di arrivo, The Lodge (2019). Scritto (insieme a Sergio Casci) e diretto da Veronika Franz e Severin Fiala, registi dell’interessante Goodnight Mommy, The Lodge riesce a fondere la nomenclatura del thriller più puro insieme a quella dell’horror psicologico. Senza ricorrere ai sottogeneri come lo splatter, il gore o lo slasher inaugurati dal New Horror degli anni Settanta o le mutazioni corporee del Body Horror degli anni Ottanta, il nuovo lavoro della coppia di registi austriaci è una mise en scène che affonda il proprio tessuto filmico nella ghost story più classica, senza tuttavia esserla nella realtà dei fatti.

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Dopo un drammatico incipit The Lodge, lentamente, mette in moto gli ingranaggi necessari affinché le vicende possano prendere le mosse, in modo tale da concatenare, il tutto, con un effetto domino. Senza far ricorso al grandguignol (eccetto per due brevi scene di violenza abbastanza mite) oppure a sbudellamenti vari, The Lodge è un’opera che va a scavare, a cercare nei meandri della mente in cui si celano, a volte, traumi e incubi vissuti. Il susseguirsi di eventi (apparentemente) al limite del paranormale, fanno sprofondare Grace nel nero baratro della follia, in quel gorgo che inghiotte e non concede alcun tipo di possibilità per poter tornare indietro.

The Lodge: un horror che funziona

The Lodge

Giovane donna segnata dal suo passato (unica superstite del suicidio di massa dei componenti della setta religiosa di cui faceva parte), il personaggio interpretato da Riley Keough diventa preda e vittima dei suoi stessi deliri religiosi: difatti The Lodge, da una parte, è una critica e cinica riflessione sugli effetti del fanatismo religioso, di quella fede, spesso, deviata e apocalittica; dall’altra parte, invece, è un’analisi psicologica sugli effetti, a lungo termine, dell’isolamento. Lo spazio d’azione è limitato alla baita montana, lontana dalla civiltà, isolata come un puntino nero in mezzo a un mare di bianca neve in cui, parafrasando con tanto di licenza poetica la nota tagline di un capolavoro del cinema sci-fi, nessuno può sentirti urlare.

Tra interni cupi e privi di luce, resi ancora più claustrofobici dal ricorrente – ma non invadente – utilizzo del grandangolo spinto e il soffermarsi della macchina da presa su icone ed effigi sacre, The Lodge permette all’inquietudine di guadagnare terreno minuto dopo minuto, scena dopo scena. Tra piani sequenza, primi piani, rapidi e striduli acuti musicali, il film di Fiala e Franz fa a meno della politica del jump scare, dando vita a un crescendo di suspense e terrore dell’ignoto. Una paura, quest’ultima, che diventa prima paranoia e, successivamente, convinzione: il perimetro domestico assurge a trappola mortale, un “limbo” in terra dal quale non è possibile uscire. Un non-luogo, quindi, in cui la cristallizzazione del tempo ha raggiunto il suo apice senza soluzione di continuità e che non rende possibile distinguere la realtà dall’ir(realtà), l’onirico dalla veglia. La casa isolata di The Lodge si trasmuta, così, in uno spazio altro fuori dal mondo, in cui poter espiare i propri peccati e quelli altrui.

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Costruendo l’intera vicenda intorno a quel vedo non vedo, a quell’orrore più suggerito piuttosto che mostrato che ha fatto grandi le opere di Poe e Lovecraft senza dimenticare altri, fondamentali esempi come Jackson (su tutti L’incubo di Hill House), Franz e Fiala sono riusciti nell’arduo compito di plasmare un horror capace di sprigionare un’opprimente angoscia e di suscitare, nell’animo dello spettatore facilmente impressionabile, una vivida sensazione di paura. Corroborato da una regia “geometrica”, da un impianto scenotecnico privo di sbavature e da uno script mai banale The Lodge riesce a catturare lo sguardo del fruitore fino alla risoluzione dell’intreccio narrativo, che lascia l’ultima scena a un devastante e annichilente finale di dostoevskiana memoria.

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