A Bluebird in My Heart, un solido noir dalle cadenze thriller

Opera prima di Jérémie Guez, A Bluebird in My Heart è un ottimo banco di prova registico nel genere del noir intrecciato con il thriller

A Bluebird in My HeartDanny (Roland Møller) è un carcerato che ha la possibilità di scontare il resto della pena agli arresti domiciliari. Trova alloggio presso il motel gestito dalla moglie di un suo compagno di cella e dalla figlia di costui, Clara. Con tanto di cavigliera elettronica per tracciare i suoi spostamenti, Danny inizia a lavorare come lavapiatti in un ristorante orientale mentre, per pagare l’affitto della sua stanza, si offre di sistemare piccoli guasti e di pitturare tutta la struttura che lo ospita. L’uomo cerca di condurre un’esistenza lontana dal crimine, ma quando uno spacciatore che bazzica nel parcheggio del motel abusa e picchia Clara, l’ex detenuto decide di fare giustizia a modo suo.

Trasposizione del romanzo The Dishwasher di Dannie E. Martin, autore americano con un passato segnato dal carcere e dalla droga scomparso nel 2013, A Bluebird in My Heart (Bluebird, 2018) è l’opera prima del regista Jérémie Guez. Noir dalle cadenze thriller, A Bluebird in My Heart affonda le sue origini nei tòpoi del genere di appartenenza: un protagonista con un trascorso difficile, delle donne sole, la voglia di stare lontano dal crimine, un torto subito e l’immancabile ritorno sulla via della violenza. Sì, perché l’esordio alla regia di Guez non è scevro di nessuno di questi ingredienti, ai quali si affiancano le classiche ambientazione di tanta cinematografia noir e delle produzioni statunitensi e di quelle polar francesi: il motel trasandato, gli esterni piovosi a metà strada tra l’industriale e la periferia, le ambientazioni notturne, luci soffuse, vetri, trasparenze, vicoli, chiaroscuri.

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Tutto un immaginario, questo, ben marcato all’interno di A Bluebird in My Heart, un film con pochi personaggi in scena, che concentra il suo focus sulla neo vita di Danny e sull’esistenza delle persone che gravitano intorno al suo microcosmo fatto di routine e di rispetto delle regole imposte dalla legge. Ma il passato, come tanta cinematografia nonché letteratura di genere hanno saputo insegnare, fa capolino – inesorabilmente – sull’uscio di casa, conducendo nuovamente al bivio chi, in realtà, vuole uscire dal fango in cui è affondato.

A Bluebird in My Heart: a metà strada tra Drive e A Beautiful Day

A Bluebird in My Heart

A Bluebird in My Heart, nonostante sia una produzione franco belga, pesca a piene mani da opere ben più autoriali: non a caso, le atmosfere che si respirano ricordano titoli appartenenti alla seconda decade degli anni Duemila come Drive e A Beautiful Day. Guez ha assimilato le lectio filmiche di Nicolas Winding Refn e di Lynne Ramsay rendendo omaggio, giustamente, a due registi che sono stati capaci di sfornare dei cult assoluti. Difatti, non sono poche le analogie stilistiche e contenutistiche che A Bluebird in My Heart condivide con i titoli citati: a partire dall’utilizzo di temi musicali molto anni Ottanta ma minimalisti, sino all’insistenza della mdp che sembra, a volte, vivere in pianta stabile, insieme al protagonista Danny, all’interno delle mura in cui o per lavoro o per il resto della giornata, si rinchiude. Così come non manca una certa perseveranza nella permanenza sui primi piani, su quei volti che, in silenzio, raccontano storie di un passato violento, costellato da errori e colpe da scontare carpite, portate a galla da dialoghi sì stringati, a volte, ma non per questo scontati o banali.

Eppure, il primo lungometraggio di Guez, nonostante “saccheggi” elementi e situazioni dai suoi “fratelli” d’oltreoceano, riesce a vivere di vita propria, ritagliandosi un imprinting identitario in modo tale da non risultare un semplice patchwork ai limiti del plagio bensì un’opera contenente tutto ciò che serve. L’intreccio narrativo di A Bluebird in My Heart avanza, lentamente, per tutta la sue esigua durata di soli ottantacinque minuti: niente ritmi sincopati, né sequenze adrenaliniche da cinema action; qui, a far da padrone, è il lento e inesorabile nuovo sprofondamento nel baratro, un revival di un passato non del tutto cancellato.

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A Bluebird in My Heart mette sotto la lente il rapporto di fiducia e affetto che si instaura tra Danny e Clara: il primo, senza più vere radici, ormai; la seconda, invece, che spera nella scarcerazione del tanto amato padre. Sono due figure, quelle di Danny e Clara, private dagli affetti, dai fondamentali punti di riferimento ed è per questo che, tra i due, nasce una (quasi) tacita complicità, un rapporto filiale e genitoriale tra padre putativo e “figlia” acquisita. E quando questa “famiglia all’improvviso” viene incrinata dalla follia e dalla bestialità dell’uomo, all’anti(eroe) di turno non resta che fare giustizia, procedere a un repulisti in cui la brutalità ha la meglio sugli aguzzini, in scoppi di violenza improvvisi che detonato come una carica da demolizione lasciando, a chi si è macchiato nuovamente le mani per proteggere chi lo ha accolto, solo l’impossibilità a una nuova vita e la certezza di una perenne fuga.

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