YORGOS LANTHIMOS, Oscar migliore regia 2019: La favorita, tra crisi e fato

la favorita
Yorgos Lanthimos, Oscar migliore regia 2019

Yorgos Lanthimos concorre per la vittoria dell’Oscar per la migliore regia col film La Favorita, una delle pellicole più nominate per la kermesse del cinema americano. Il regista greco arriva a questa serata forte del consenso di critica e pubblico.

Yorgos Lanthimos, Oscar migliore regia 2019: La favorita, tra crisi e fato

Inizialmente conosciuto solo da un ristretta cerchia di estimatori del suo cinema, il regista greco Yorgos Lanthimos è salito sulla ribalta delle scene internazionali grazie al notevole “The
Lobster”, primo lungometraggio in lingua inglese, ambientato in un futuro distopico, che gli ha fruttato la nomination all’Oscar per la sceneggiatura, un premio della giuria al Festival di Cannes
più altri riconoscimenti internazionali. Le sue opere successive lo hanno reso uno dei maggiori registi europei contemporanei. Il successo dei lungometraggi di Lanthimos va necessariamente
ricercato in una regia molto attenta e scrupolosa, in una composizione dell’immagine fotografica a livelli maniacali, in un esperto utilizzo degli obbiettivi delle ottiche e dei movimenti di macchina che ricordano ed celebrano contemporaneamente l’inimitabile stile del compianto Stanley Kubrick. A questo vanno aggiunti dei soggetti e delle tematiche che, con il passare degli
anni hanno trasfigurato sempre più i suoi film, rendendoli degli insoliti, stranianti e grotteschi oggetti estetici caratterizzati da un elevato tasso di ambiguità e imprevedibilità. Tuttavia, uno
sguardo reiterato e più scrupoloso delle sue opere ha rivelato come la sua filmografia sia caratterizzata da un indiscutibile e coerente filo logico, figlio delle tensioni sociali del suo paese
natio che testimoniano la morte delle certezze dell’uomo contemporaneo e una conseguente crisi dello storico modello politico, sociale, economico Europeo. Il primo lungometraggio di Lanthimos, co-diretto con l’attore Lakis Lazopoulos è una commedia dal titolo O kalyteros mou filos, conosciuta in Europa con il titolo di My Best Friend.

Quest’ultima ha sancito l’inizio della carriera cinematografica di Lanthimos che, fino a quel momento era un regista di videoclip. La poetica e l’estetica cinematografica del regista ha cominciato a prendere forma con Kynetta nel 2005, opera focalizzata sull’incomunicabilità e sulle radici profonde della solitudine che sono alla base dei mali esistenziali della società moderna. Il film racconta le vicende di un poliziotto, un fotografo e una cameriera d’albergo che durante tempo libero, nel tentativo di risolvere la scena di un delitto, lo simulano
progressivamente con diverse pose.

Il successo di Kynodontas


Nel 2009, tramite Kynodontas, (titolo europeo Dogtooth) il regista sceglie di narrare gli eventi di una strana famiglia che vive in totale isolamento dalla società esterna, i cui figli non hanno mai
oltrepassato i confini del giardino di casa. Alps invece, del 2011, racconta di un gruppo formato da quattro persone (un paramedico, un infermiera, una ginnasta e il suo allenatore) che
dedicano il loro tempo nell’assistere tutte quelle famiglie che hanno avuto un lutto in famiglia e perso i propri cari, sostituendoli con altre persone. Le prime tre pellicole sono caratterizzate da un alto livello di distopia con ambientazioni temporali incerte e con dei personaggi principali e secondari vittime di una società straniante da cui si sentono sempre più alieni e lontani, per tale motivo architettano ogni sorta di espediente per tentare di evadere dalla sua convenzionalità. Kinetta descrive un gruppo di persone ossessionate a tal punto dal controllo proprio e altrui da entrare in un tunnel di eventi che li porteranno all’auto annientamento.

In Kynodontas, abbiamo dei genitori ossessionati dalla società che emarginano i loro figli con insegnamenti totalmente sbagliati che li danneggeranno non poco. In Alps, questa volta decide di cercare la fuga e l’evasione nei corpi e nelle vite di altri personaggi. Il fatto che, almeno nella sua prima trilogia, analizzi e metta in scena corpi, oggetti, linguaggi e le personalità come elementi che possono aiutare ad evadere o fuggire dalla realtà di
una società che annienta sempre più le nostre individualità fallimentari, spiegherebbe il motivo per cui diversi personaggi dei suoi film non possiedono quasi mai un nome vero e proprio ma
vengono descritti sovente tramite le loro azioni e “mansioni”. E’ con The Lobster che, probabilmente, assistiamo a qualcosa di nuovo. In quest’opera Lanthimos decide di stravolgere la
narrazione, ribaltandola letteralmente. The Lobster, ambientato in un futuro indefinito, trasporta lo spettatore in una società dove le persone ancora single vengono arrestate per essere poi “deportate” all’interno di un Hotel all’interno del quale sono obbligate a trovare un compagno entro 45 giorni, pena la trasformazione in un animale di loro scelta e l’abbandono in
una foresta, se ciò non dovesse accadere. Un giovane uomo di nome David decide però di ribellarsi e fugge all’interno di un bosco insieme a un gruppo di altri dissidenti dove si innamorerà di un’altra persona infrangendo le regole. Con The Lobster continua a descrivere a suo modo l’ insensata avidità e voracità della società moderna, caratterizzata da uno spietato e crescente cinismo, rinnovando quel tocco humor dark, uno dei marchi di fabbrica delle sue opere precedenti, con un tocco poetico-romantico fino a quel momento inedito.

Da The Lobster a Il Sacrificio del cervo sacro


In genere, il personaggio tipico dei film di Lanthimos è una sorta di emarginato che a tratti, come in The Lobster, può diventare una eroe che combatte contro una umanità crudele e un sistema
inetto e senz’anima, a prezzo della morte. Da quest’opera in poi è presente una tematica romantica che si affianca a quella che vede l’essere umano ignara vittima di un indottrinamento
sociale a senso unico. Predilige adattare e raccontare vicende assai complesse, al cui interno si muovono dei personaggi le cui vite vengono spesso smembrate dal regista greco che vuole smantellare e decostruire la società moderna allo scopo forse di
riedificarne una più equa e solidale con nuove regole sociali. Il regista greco, la cui freddezza, lucidità e rigore compositivo ricordano la celebre maniacalità di Kubrick, getta uno sguardo
profondo che riesce a penetrare in maniera clinica la società, la sacralità, il nucleo familiare, le pulsioni, i conflitti e le manie dei personaggi. La società e la famiglia forse non sono più quelle
oasi o isole dove regnano la pace e la serenità, dove si fa esperienza e si apprende il più possibile per poi diventare indipendenti, ma nuclei e luoghi dove il mondo esterno è temuto a tal punto da imprigionare la propria famiglia dentro le mura domestiche in attesa di scegliere quali figli o parenti sacrificare alla regime dittatoriale dell’ignoranza umana. Se in Dogtooth un crudele padre despota cerca di crescere i propri figli inculcandogli false e malsane idee nella testa, costringendoli ad una sorta di sottomissione fisica e intellettuale come se fossero degli animali
in un carcere, che potranno abbandonare solo quando i perderanno i loro “canini”, in Il Sacrificio del cervo sacro siamo alle prese con gli errori di un altro padre che avrà la presunzione di divenire Dio.

Il Dr. Steven (Colin Farrell), cardiochirurgo di fama, dovrà venire a patti con un grave errore avvenuto all’interno di una sala operatoria: non è infatti riuscito a salvare padre di un ragazzo
piuttosto introverso, che si chiama Martin. Questo tragico evento si ripercuoterà sulla famiglia del chirurgo che vive all’interno di una lussuosa ma fredda e asettica casa, al cui interno tutto
sembra apparentemente perfetto. Nel Sacrificio del cervo Sacro Lantimos getta il personaggio di Farrel in una sorta di inferno che ha più le fattezze di una tragedia greca, con il medico che, a
causa del figlio del suo paziente morto, si troverà davanti a una terribile e insana scelta: chi merita di vivere tra sua moglie i suoi figli? La predilezione di Lanthimos nello stravolgere la
“norma costituita” cancellando lo status quo raggiunge il suo apice in questo film, tramite l’utilizzo del mito di Ifigenia (utilizzato anche da Euripide) come suggestione alla base del
soggetto, che rende le vicende e le immagini del film ancora più drammatiche e strazianti impregnandole di grande violenza psicologica. Nel film c’è un’importante sequenza raffigurante
un colloquio di Colin Farrell con il preside della scuola dove studiano i suoi figli. Il medico fa riferimento a un bellissimo saggio della figlia maggiore dedicato proprio alla tragedia di Ifigenia.
Non si tratta ovviamente di un riferimento fortuito, perché il mito di Ifigenia sostiene l’intera struttura narrativa del film. La leggenda narra che Agamennone uccise per divertimento un
cervo e per punizione venne costretto a sacrificare la propria figlia Ifigenia su un’altare. All’interno del film il Ilmito Ifigenia farà la sua comparsa nel film proprio nel momento in cui i personaggi inizieranno a togliersi le vesti della loro borghese ipocrisia mostrando gli aspetti più feroci del loro carattere. Non è un caso che durante il film siano presenti dei riferimenti alle prime mestruazioni della figlia del Dottor Steven: nell’antico mondo greco le mestruazioni rappresentano lo scopo simbolico e metaforico primario del concetto di sacrificio nel passaggio
tra l’età dell’infanzia e quella adulta. Nel sacrificio del cervo sacro è presente una regia straniante che si traduce in dei movimenti di macchina dal ritmo frenetico, a tratti opprimente. Le stanze e i corridoi infiniti degli ospedali vengono ripresi spesso dall’alto, come se ci fosse una sorta di occhio occulto, di telecamera di sorveglianza che cancella ogni forma di privacy. La fotografia e le ottiche utilizzate esaltano i grandi spazi rendendoli angusti, scomodi, disagevoli mentre i piccoli spazi vengono fatti letteralmente “esplodere” come se si dilatassero all’infinito.

Questa scelta registica piuttosto azzeccata dà la sensazione che il film è come se fosse stato girato da un personaggio occulto, invisibile, non manifesto che sembra agire silenziosamente
alle spalle dei personaggi. Una strategia funzionale ad una possibile personificazione del concetti di rimorso. Il misterioso personaggio di Martin, che intrattiene un rapporto al quanto ambiguo e morboso con il dottor Murphy ela sua famiglia, è interpretato dal talentuoso attore Barry Keoghan. Si tratta della figura più misteriosa e inquietante del film, a metà strada tra un amico, un genitore e un malefico e introverso psicopatico. A quanto pare, suo padre è morto a causa di un errore commesso dal Dr. Murphy che, per il rimorso e un bruciante senso di colpa, prova a proteggerlo ma più Martin si avvicina alla famiglia del dottore più gli eventi precipitano. La tragedia greca suggerisce che Martin sia rappresentazione per antonomasia della figura dell’oracolo e del concetto di profezia: lui annuncia e porta sempre la sventura senza avere la possibilità di poterla prevenire o controllare. La disperazione che travolge la famiglia del Dr.
Murphy squarcia letteralmente quel velo di falsità, ipocrisia, conformismo e ipocrite apparenze, mostrando senza filtri i limiti e le fragilità dei medici che ora, non possono più affidarsi al Dio
della scienza. La scienza e la medicina non possono fare nulla contro il fato né gli uomini possono sperare di controllarlo se non pagando un prezzo altissimo, quello del sacrificio…

Maurizio Ragazzi

Il trailer de La Favorita

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