“Stalker” di Andrei Tarkovskij rivive in alta definizione

Il titolo potrebbe tranquillamente spingere a pensare al nomignolo che, comunemente, viene attribuito agli individui affetti da un disturbo della personalità che li spinge a perseguitare ossessivamente un’altra persona con minacce, pedinamenti, molestie ed attenzioni indesiderate; ma, in realtà, derivato da un racconto dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij ambientato a Harmont, città immaginaria del Canada, Stalker di Andrei Tarkovskij fa riferimento ad una figura totalmente distante da quella appena descritta.

Sulla carta figura reietta dall’emblematica capigliatura fulva, nonché ex fisico caduto in disgrazia e convertitosi alla malavita subendo condanne, nella trasposizione cinematografica datata 1979 manifesta i connotati di Aleksandr Kaydanovskiy e, affiancato da uno scrittore ed uno scienziato, si trova ad intraprendere un rischioso viaggio tra residui bellici, piante velenose e putridi acquitrini nella cosiddetta Zona, dove molti anni fa qualcosa di misterioso o, forse, semplicemente un meteorite, ha distrutto le cose degli uomini e dove la polizia spara a vista a chiunque tenti di penetrarvi oltrepassando il filo spinato appositamente piazzato dalle autorità.

Un viaggio mirato al raggiungimento di una stanza che, a quanto pare, è fornita del magico potere di realizzare i desideri e che il compianto cineasta russo racconta quattro anni prima di dedicarsi al memorabile Nostalghia alternando immagini in bianco e nero ad altre a colori.

Nel corso di oltre due ore e quaranta che, facilmente classificabile all’interno del filone fantascientifico a causa del plot post-atomico di base ma tutt’altro che rientrante nella tipologia di spettacolo in fotogrammi indirizzata al pubblico in cerca di facili emozioni a suon di elaborati effetti visivi e sequenze d’azione, non può fare a meno di richiamare alla memoria le tanto lugubri quanto deprimenti atmosfere regalate dall’Espressionismo tedesco grazie ai fatiscenti scenari immortalati dalla macchina da presa.

Mentre sono silenzi e lunghe inquadrature a scandire un racconto per immagini che intende essere, in maniera evidente, una allegoria in salsa filosofica relativa all’esistenza, come è anche facilmente deducibile da questa dichiarazione rilasciata a suo tempo dallo stesso Tarkovskij nel suo libro Scolpire il tempo. Riflessioni sul cinema: “Mi hanno sovente domandato cos’è la Zona, che cosa simboleggia, ed hanno avanzato le interpretazioni più impensabili. Io cado in uno stato di rabbia e di disperazione quando sento domande del genere. La Zona è la Zona, la Zona è la vita: attraversandola l’uomo o si spezza o resiste. Se l’uomo resisterà dipende dal suo sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero”.

Una allegoria che è pura poesia su celluloide, lontana dai classici stilemi della Settima arte “ordinaria” e capace di filtrare il genere attraverso una personale e decisamente autoriale visione che sembra fondere la magnifica invenzione dei fratelli Lumière con la letteratura e, se vogliamo, la pittura, considerando che ogni immagine appare quasi come fosse un quadro dipinto.

E il viaggio alla base della vicenda portata in scena altro non è che un’escursione all’interno di ognuno di noi, finalmente disponibile su supporto blu-ray grazie a General Video (www.cgentertainment.it).

Con sezione extra rappresentata dall’estratto di cinque minuti La “casa” di Tarkovskij, ovvero le riprese del rudere di una casa in legno abbandonata, la casa avita del regista, commentate dalla colonna sonora di Eduard Artemejev e memoria degli ambienti cadenti del film.

Francesco Lomuscio

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