Conoscevate la vegetariana cannibale di “Raw – Una cruda verità”?

Se ne era sentito parlare molto perché all’estero pare avesse impressionato non poco gli spettatori, tanto da provocare obbligatori interventi del soccorso medico nelle sale e da guadagnarsi, di conseguenza, la nomea di film più spaventoso del momento.

Diretto nel 2016 dalla esordiente parigina classe 1983 Julia Ducournau e mai approdato sui grandi schermi dello stivale tricolore, Raw – Una cruda verità giunge su suolo italiano direttamente su supporto dvd targato Universal, offrendo finalmente anche al pubblico del Bel paese l’occasione di visionare quello che la popolare rivista Rolling stone non ha esitato a definire “Un capolavoro intelligente, viscerale e ferocemente originale”.

La storia della brillante e promettente studentessa Justine, interpretata con convinzione dalla Garance Marillier proveniente dall’universo dei cortometraggi e che, sedicenne appartenente ad una famiglia di veterinari e, come lei, vegetariani, si lascia sedurre dalla realtà decadente e crudele della facoltà universitaria a cui si iscrive.

La facoltà di veterinaria, appunto, dove, tra bevute e feste scatenate, non manca neppure di sottoporsi ad umilianti rituali tipici degli universitari; fino al giorno in cui, accettato di mangiare un rene di coniglio crudo, vede improvvisamente cambiare la propria esistenza, scoprendo che la sua alimentazione può benissimo non costituirsi in maniera esclusiva di frutta e verdura, bensì anche di carne, perfino quella umana.

In un crudo crescendo che lascia tranquillamente ripensare agli orrori del corpo cui ci ha abituati il canadese David Cronenberg, infatti, prima assistiamo ad una ripugnante escrescenza che fa la sua apparizione sulla pelle della protagonista, poi vediamo quest’ultima sempre più propensa a far finire esseri umani in mezzo ai propri denti.

E, mentre la buona colonna sonora a firma di Jim Williams – ma con la nostra Ma che freddo fa di Nada curiosamente inclusa – accompagna la oltre ora e mezza ed è possibile avvertire, tra un fotogramma e l’altro, l’aria di una allegoria relativa al bisogno di allontanamento dai principi familiari, è senza alcun dubbio la sequenza in cui la giovane neo-cannibale s’impegna a sgranocchiare un dito a generare disgusto e malessere.

Soprattutto perché, nonostante la onnipresente venatura grottesca, il tutto viene raccontato in maniera realistica e priva di concessioni all’universo horror maggiormente legato alla fantasia, come se la nuova natura di Justine fosse la manifestazione di una comune malattia che potrebbe colpire chiunque sul globo terrestre d’inizio terzo millennio.

Francesco Lomuscio

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