Vi ricordate di quando Claudia Koll si dava alle botte d’allegria in “Così fan tutte”?

Sul piccolo schermo abbiamo imparato a conoscerla, tra l’altro, al fianco di Nino Manfredi in Linda e il brigadiere e calata nel camice di Valeria medico legale, soprattutto dopo che, a metà anni Novanta, affiancò Pippo Baudo e Anna Falchi nella conduzione del Festival di Sanremo.

Tra il 2012 e il 2015 si è definita prima suora laica, poi missionaria, a seguito del suo forte avvicinamento alla fede cattolica ed alla dedizione ad attività di volontariato e gruppi di preghiera; ma non in pochi ricordano la romana Claudia Koll (all’anagrafe Claudia Maria Rosaria Colacione) quando, appena esordiente nel mondo dello spettacolo, si trasformò in vero e proprio sex symbol grazie alla partecipazione in qualità di protagonista di Così fan tutte, diretto nel 1992 dal maestro dell’erotismo su celluloide Tinto Brass e riscoperto su supporto dvd da Mustang Entertainment (www.cgentertainment.it).

Un titolo ispirato a quello dell’opera buffa in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart e attraverso cui il cineasta proseguì la propria ricerca della libertà tramite il sesso iniziata nel 1983 con La chiave e proseguita per mezzo di Miranda, Capriccio e Paprika, spingendosi sempre più verso l’hard in fatto di rappresentazione degli amplessi.

Infatti, se già nella precedente pellicola interpretata da Debora Caprioglio aveva tirato in ballo membri maschili in bella vista e insistite inquadrature vaginali a distanza ravvicinata, in questo caso, tra dettagli di orifizi posteriori e falli posticci in abbondanza, non mancò neppure di mostrare fugacemente una esplicita fellatio consumata durante un’orgia all’aperto.

Senza contare i filmati e le fotografie pornografiche della zia ritrovate da Diana (la Koll, appunto), che, ventiquattrenne sposata con Paolo alias Paolo Lanza, nella speranza di vedere scoccare nuovamente la scintilla nel suo sempre meno appassionato ménage matrimoniale iniziava a raccontare al marito fantasiose trasgressioni e avventure extraconiugali, per poi metterle in pratica definendole “botte d’allegria”.

E, se la oltre ora e mezza di visione la vedeva già all’inizio alle prese con un caldo ballo in compagnia dell’Alphonse incarnato da Franco Branciaroli, non mancava poi di finire sodomizzata dallo stesso in un crescendo di bollenti situazioni comprendenti, nel mucchio, una copula tra moglie e marito mentre guardavano un film a luci rosse.

Man mano che lo stesso Brass vi compariva nel breve ruolo di un commendatore “sporcaccione” e che, se da una parte provvedeva a rinnovare il suo elogio al lato b facendo affermare al citato Branciaroli che la fisionomia delle persone è tutta nelle natiche, dall’altra sfoderava in salsa metacinematografica la propria, consueta morale anti-gelosia suggerendo che bisogna vivere il matrimonio come un film.

Francesco Lomuscio

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