Dal Mekong al FEFF, ecco “Dearest sister” di Mattie Do

A dispetto del villaggio globale, e di un millennio che sbriciola qualunque distanza a colpi di web, esistono ancora paesi che conosciamo o frequentiamo pochissimo. Angoli di mondo. Angoli d’Oriente. E proprio da qui, dalle rive del Mekong, arriva un thriller sovrannaturale destinato a lasciare il segno: sia perché, appunto, arriva dal Laos, uno degli angoli più poveri del pianeta, sia perché il thriller in questione è davvero potente. Stiamo parlando di Dearest sister, selezionato dal Far East Film Festival 19 (Udine, 21/29 aprile) e firmato dall’incredibile Mattie Do, che accompagnerà il film a Udine!

Prima volta del Laos al FEFF, dunque, e prima regista donna in terra laotiana: un’autentica forza della natura, capace di sfidare i monolitici pregiudizi maschili e, soprattutto, capace di guidare la riscossa di una cinematografia invisibile. Anzi: quasi inesistente (l’intero “catalogo” ammonta a poco più di dieci titoli). L’arte del Laos è femmina, insomma, con buona pace di tanti (troppi) uomini che mai e poi avrebbero scommesso sul talento e sulla perseveranza di Mattie. Un talento e una perseveranza già ampiamente documentati quattro anni fa da Chanthaly, ottimo esordio horror applaudito nel circuito festivaliero internazionale, e adesso dal sorprendente Dearest sister, avventurosa co-produzione che include Francia ed Estonia.

Qualche accenno alla trama, evitando gli spoiler? La giovane Nok fa ritorno al villaggio in cui è nata, per prendersi cura di una cugina sull’orlo della cecità, e si rende conto molto rapidamente che dentro quella grande casa si respira un’aria sinistra: la cameriera e il giardiniere nascondono qualcosa, qualcosa che Nok non sa decifrare, e anche i suoi occhi si stanno velando. Stanno smettendo progressivamente di catturare ciò che la circonda, i normalissimi dettagli quotidiani, e stanno iniziando a catturare i contorni, le inquietanti presenze, di un’altra dimensione…

Come già in Chanthaly, diciamolo subito, Mattie non si accontenta di utilizzare la sintassi di genere, non si accontenta di moltiplicare i brividi e i soprassalti, ma inietta sostanza e complessità fra le pieghe della paura. Ed ecco, infatti, che Dearest sister viaggia lungo i binari del thriller sovrannaturale senza però fermarsi alla pura (classica) ghost story: il buio si fonde con il dramma, un dramma fortemente femminile, e il dramma si apre a lucide riflessioni socio-culturali, restituendoci l’inatteso ritratto di una terra che conosciamo o frequentiamo pochissimo. Una terra povera, il Laos, nonostante qualche timido segnale di ripresa, ma non abbastanza povera per arginare il ciclone Mattie Do!

Lei, che di laotiano ha il DNA ma è nata nell’americanissima Los Angeles (i genitori si rifugiarono negli States durante la rivoluzione comunista), ha scelto di abbracciare le proprie radici per amore paterno, dopo una vita artistica e personale trascorsa tra l’America e l’Europa (Roma l’ha vista impegnata come studentessa di danza e come truccatrice, per le produzioni del Centro Sperimentale e per Cinecittà). E ci voleva assolutamente una donna così, il FEFF ne è certo, affinché il cinema del Laos alzasse la testa e imboccasse la strada della rivincita…

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