“Umano non umano” di Mario Schifano riscoperto in dvd

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“Era l’estate del 1968 quando, con Mario, abbiamo iniziato a lavorare a Umano non umano. Abbiamo scritto la sceneggiatura capitolo per capitolo, il modello era il mio film Necropolis diviso per terni: il fascino, la rivoluzione, l’anarchia… Mario non avrebbe mai potuto girare Umano non umano se prima non avesse visto il mio Necropolis. L’abbiamo scritto in base allo stesso schema, io ho collaborato alla sceneggiatura, adesso è considerato un classico ma nessuno ne conosce davvero la fenomenologia ideale e formale. La scena con lo sciopero dell’Apollon apparteneva a un capitolo sul marxismo, sul capitalismo, molto più complesso, con un testo del Capitale di Marx interpolato alla maniera della poesia concreta. Sullo stile di Nanni Balestrini. Poi Mario, che voleva sempre fare le cose in fretta, ha tagliato, ha tenuto solo le cose più semplici, però il progetto mentale era molto più complesso. Erano tanti capitoli visti più con un occhio da pittore che da letterato o da vero cineasta”.

Questa lunga dichiarazione dello sceneggiatore Franco Brocani appare necessaria per meglio capire il senso di un atipico oggetto del desiderio su celluloide quale Umano non umano di Mario Schifano, facente parte di una trilogia comprendente i precedenti Satellite e Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani e di cui il pittore (tra i massimi del dopoguerra) passato dietro la macchina da presa osservò: “I tre film si integrano di loro, forse si capiscono bene solo vedendoli assieme, sono tre diversi modi di affrontare il cinema e le possibilità del cinema, e di affrontare lo spettatore”.

Tre fasi di un viaggio verso (e in fuga dalla) realtà e delle quali questo terzo tassello, secondo il compianto storico e critico cinematografico Lino Micciché, non è soltanto il più bel film ‘sperimentale’ del cinema italiano degli anni Sessanta, ma anche uno dei documenti più ricchi e più coinvolgenti del cinema di contestazione.

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Perché, tra immagini del maestro della Nouvelle Vague Jean-Luc Godard sul set del suo Week end e una voce introduttiva del critico d’arte Maurizio Calvesi che parla della pittura del passato come di un “tentativo alchimistico di riprodurre il mistero della vita, animando la materia con la luce”, non mancano neppure gli operai della fabbrica Apollon davanti a piazza Colonna e un corteo del primo Maggio a piazza San Giovanni nel corso della oltre ora e mezza di visione costata dodici milioni di lire (cifra molto bassa per un lungometraggio girato in pellicola, ma altissima se confrontata al budget di un normale film underground) e che coinvolge addirittura Carmelo Bene in una sequenza sul letto insieme ad Alexandra Stewart.

Senza contare il poeta Sandro Penna che racconta come sopravvive commerciando opere dei grandi dell’arte contemporanea e, soprattutto, la curiosa partecipazione di Keith Richards e Mick Jagger, rispettivamente chitarrista e frontman dei Rolling stones, il primo alle prese con il sintetizzatore Moog, il secondo impegnato a cantare in playback la sua Street fighting man.

E il motivo della loro presenza è facilmente spiegabile: l’opera doveva essere inizialmente prodotta dalla band attraverso l’attrice Anita Pallenberg, amica del regista e in quel momento compagna di Richards, tanto che, per l’occasione, fu creata la società di produzione Mount Street Film; ma, a causa di alcune traversie, abbandonarono il progetto.

Progetto che, tra momenti muti, assenza di movimenti di macchina e fissità quasi ossessiva dell’inquadratura, testimonia come, per Schifano, la vera pittura fosse proprio il cinema che ha la stessa facoltà alchemica di dare vita alla materia; in quanto, azzerando il linguaggio e semplificandolo per poterci lavorare con più libertà e immediatezza, per lui riprendere significa cogliere espressioni inaspettate, gesti improvvisi che cambiano il senso dell’immagine.

Con un interessante booklet a cura di Bruno Di Marino incluso nella confezione, è RaroVideo a riscoprirlo su supporto dvd accompagnato, oltretutto, da un’intervista di dieci minuti al già menzionato Brocani.

Francesco Lomuscio

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