Giocando di sicuro con il titolo di quella Heartbreak hotel che fu uno dei più grandi successi musicali di Elvis Presley, Richard Robinson mise in piedi nel 1975 l’Heartbreak motel che, circolato soprattutto come Poor pretty Eddie, venne in realtà co-diretto da un non accreditato – e allora esordiente dietro la macchina da presa – David Worth, direttore della fotografia dei primi lavori di Clint Eastwood, nonché regista di un paio di Shark attack e del trashissimo slasher Hazard Jack.
Un thriller sporco e cattivo (ma tutt’altro che brutto) che, risentendo sicuramente del tenore e delle ambientazioni che caratterizzarono i precedenti cult dell’horror L’ultima casa a sinistra di Wes Craven e Non aprite quella porta di Tobe Hooper, ci spinge quasi a pensare che potrebbe avere tranquillamente influenzato Quel motel vicino alla palude diretto l’anno successivo da quest’ultimo nel raccontare la tragica avventura in cui incappa la cantante di successo Liz Wetherly, cui concede anima e corpo Leslie Uggams.
Tragica avventura destinata a prendere forma dal momento in cui, in seguito ad un incidente d’auto nel corso della sua tourneé, si trova costretta a fermarsi presso un albergo di provincia gestito dalla vecchia attrice di varietà Bertha e dal suo giovane amante Eddie, rispettivamente interpretati dalla mitica Shelley Winters e dal Michael Christian prevalentemente attivo in televisione.
Perché, se fin dall’inizio non manca di essere fortemente avvertita un’atmosfera decisamente lontana dal poter essere definita rassicurante, è in un involucro di vera e propria paranoia che lo spettatore viene immerso fotogramma dopo fotogramma; man mano che il lato oscuro dell’american dream emerge in quello che si rivela un brutale rape & revenge il cui atteggiamento di complicità manifestato dalla civiltà rurale tirata in ballo riporta alla memoria, in un certo senso, anche Un tranquillo week-end di paura di John Boorman.
Per non parlare del fatto che, complice il coinvolgimento di un individuo non molto sano di mente e considerato un po’ lo “scemo del villaggio”, non manca neppure Cane di paglia di Sam Peckinpah tra gli evidenti modelli di riferimento di oltre un’ora e venti di visione chiaramente divisa tra una prima metà di attesa infarcita di tensione ed una seconda in cui, ovviamente, la situazione non può fare altro che precipitare in un tripudio di perversione e violenza.
Con uno dei momenti più cinematograficamente affascinanti individuabile nella sequenza in cui il montaggio analogico alterna l’abuso sessuale consumato ai danni della protagonista e l’immagine di due cani che copulano; prima che il tutto – con incluso nel mucchio uno sceriffo poco raccomandabile – sfoci in un massacro conclusivo che vede accentuata la follia della situazione grazie anche all’abbondante utilizzo del ralenti (altro aspetto che rimanda al citato autore de Il mucchio selvaggio).
È Penny Video all’interno della sua collana Opium Visions a renderlo finalmente disponibile – in versione originale con sottotitoli in italiano – su supporto dvd per il mercato dell’home video tricolore, aggiungendo un’altra preziosa riscoperta al suo interessantissimo catalogo in crescita, dopo il recupero digitale di Maliziosamente di Paul Collet e Pierre Drouot e di Donald Neilson, la jena di Londra di Ian Merrick.
Francesco Lomuscio