Fiuggi Film Festival – Un 30 luglio tra identità rubate e processi

Nobody_from_Nowhere

Il titolo con cui è conosciuto in patria è “Un illustre inconnu” (2014), ma è come “Nobody from nowhere” che è stato presentato presso il Fiuggi Film Festival, il 30 luglio 2015, il lungometraggio francese che, diretto dal Matthieu Delaporte autore di “La giungla a Parigi” (2006) e “Cena tra amici” (2012), vede il Mathieu Kassovitz regista del super cult “L’odio” in una superba prova nei panni di Sébastien Nicolas, uomo solo e senza legami che comincia ad assumere un particolare, assurdo stile di vita.
Infatti, nel tentativo di dare un senso alla propria esistenza, inizia ad osservare attentamente le abitudini degli sconosciuti per travestirsi ed assumerne le identità; fino al momento in cui, però, incontra un violinista di fama normale.
Perché è dal momento in cui si impossessa della vita di quest’ultimo che prende enormi rischi per poter continuare ad essere colui che ammira; man mano che si sguazza tra calchi e protesi e che vengono verbalmente citati “La foresta di smeraldo” (1985), “Missing – Scomparso” (1982) e “Superman” (1978).
Nel corso di un insieme forse tirato un po’ troppo per le lunghe (si sfiorano le due ore) e la cui sceneggiatura avrebbe probabilmente necessitato di maggiore cura, ma la cui affascinante idea, dai toni fortemente cupi e pessimisti, possiede il merito di arrivare quasi a toccare vette da cinema horror; ulteriormente complice una non indifferente dose di crudezza (soprattutto nella parte finale).
Come non manca di crudezza neppure la sequenza di apertura – con violenta aggressione e morti – del belga “The verdict” (2013), secondo lungometraggio visionato in anteprima (e in concorso) durante la giornata.
Con Jan Verheyen al timone di regia, trattasi della vicenda di Luc Segers alias Koen De Bouw, il quale si batte strenuamente perché la giustizia faccia il suo corso dal momento in cui l’assassino di sua moglie viene rimesso in libertà per un errore procedurale.
Sforzo vano, considerando che non ottiene risultati; tanto da decidere di punire lui stesso il colpevole, entrando, però, in competizione con il potere costituzionale che lo ha deluso.
Del resto, è una amara riflessione da grande schermo relativa ai profondamente diversi modi di intendere la giustizia quella che prende progressivamente forma nell’inscenare un processo a colpi di arringhe.
Processo impreziosito in particolar modo dalla buona resa del cast, comprendente il Johan Leysen di “Train de vie – Un treno per vivere” (1998), ma che, interamente costruito sui dialoghi, rischia di infiacchirsi strada facendo; sebbene la tensione generata dall’attesa nei confronti di quella che sarà la sorte del protagonista non risulti mai assente.

Francesco Lomuscio

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