Accompagnati dalla mitica colonna sonora firmata da Vangelis, ci ritroviamo nella Los Angeles del 2019, dove l’ex poliziotto Rick Deckard, ovvero Harrison Ford, torna in servizio per la squadra speciale Blade runner al fine di dare la caccia a quattro pericolosi Replicanti: prodotti robotici uguali agli esseri umani, ma più forti e agili, che, usati come schiavi nelle colonie extra-mondo, sono fuggiti sulla Terra, dove la loro presenza è stata dichiarata illegale.
E, probabili figure allegoricamente rappresentanti gli extracomunitari, lasciano quasi pensare ad una variante degli antichi zombi appartenenti alla tradizione caraibica questi automi che – interpretati, tra gli altri, da Rutger Hauer e Daryl Hannah – imperversano in una piovosa ed ultramoderna Città degli angeli in “Blade runner”, riconosciuto capolavoro della fantacelluloide firmato da Ridley Scott tre anni dopo “Alien” e tratto da “Ma gli androidi sognano pecore elettroniche?” di Philip K. Dick.
Capolavoro che, immerso nei cupi toni freddi della bella fotografia a cura di Jordan Cronenweth e tempestato di automezzi volanti e luccicanti costruzioni, Warner Bros ha giustamente provveduto a rispolverare tramite una splendida edizione in alta definizione in occasione del suo trentesimo anniversario.
Perché, all’interno della confezione, sono un esclusivo art book di settantadue pagine ed il modellino della futuristica automobile presente nel film ad accompagnare i tre blu-ray racchiudenti le cinque diverse versioni di quello che, attingendo in maniera evidente dai vecchi noir, non ha potuto fare a meno do influenzare il look di quasi tutti i fanta-movie sfornati in seguito alla sua uscita.
Quindi, con diversi commenti audio di Scott, sceneggiatori, tecnici e produttori, nel primo disco abbiamo la final cut risalente al 2007 (un’ora, cinquantasette minuti e tredici secondi), ovvero quella preferita dal regista, completamente ripristinata dal negativo originale e passata attraverso un innovativo processo digitale 4K; oltre che migliorata in diversi punti ed impreziosita da un nuovo remix del suono preso dagli elementi di partenza.
La versione cinematografica internazionale (un’ora, cinquantasette minuti e ventinove secondi) e quella statunitense (un’ora, cinquantasette minuti e tredici secondi), entrambi del 1982, vengono invece offerte dal secondo disco e, molto simili tra loro, differiscono nel fatto che la prima – disponibile per vari anni su vhs e laser disc – include momenti di violenza intensa assenti nell’altra (si pensi solo alle impressionanti dita negli occhi).
Oltre che caratterizzate dalla narrazione di Deckard durante il loro svolgimento e dal finale positivo insieme a Sean Young, del tutto abbandonati nel director’s cut concepito nove anni dopo (un’ora, cinquantasei minuti e trentotto secondi), che, sempre presente all’interno del secondo disco, aggiunge anche la situazione onirica con l’unicorno atto a suggerire che il protagonista potrebbe essere un replicante.
Usata per testare l’operazione con il pubblico e frutto qui di una nuova masterizzazione dell’ultima pellicola esistente del montaggio iniziale, infine, la rarissima copia lavoro (un’ora, cinquanta minuti e cinque secondi) – in lingua originale sottotitolata in italiano – occupa il terzo disco; affiancata da commento audio dello storico studioso bladerunneriano Paul M. Sammon, una galleria di foto in alta risoluzione con più di mille immagini d’archivio, oltre tre ore e mezza di making of e tre speciali riguardanti, rispettivamente, il confronto tra la trasposizione cinematografica e il libro (ventinove minuti), la produzione e le scene tagliate ed alternative (sessantatré minuti) e il materiale promozionale delle varie edizioni, tra spot, trailer e featurette (trentasei minuti).
Insomma, un’occasione imperdibile per poter rivivere sullo schermo casalingo il classico scottiano che non solo ha contribuito al successo di colui che tutti abbiamo imparato ad amare nei panni di Indiana Jones, ma manifesta gli affascinanti connotati di un incubo ultratecnologico destinato a lasciar emergere una certa dose di malinconica solitudine da ognuno dei suoi personaggi.
Francesco Lomuscio