Vagamente ispirato alla storica sconfitta del generale Custer da parte dei Sioux a Little Big Horn, “Il massacro di Fort Apache” (1948) fu il film in bianco e nero per mezzo di cui la Argosy Pictures, casa di produzione dei lavori di John Ford, maestro della celluloide western a stelle e strisce, tentò di risanare le disastrose finanze nelle quali era sprofondata in seguito al flop de “La croce di fuoco” (1947), diretto proprio dall’autore di “Ombre rosse” (1939) e accolto con indifferenza dal pubblico e con sarcasmo dalla critica.
Ed è proprio l’Henry Fonda protagonista di quell’insuccesso a vestire nel lungometraggio i panni del rigido ed arrogante colonnello Owen Thursday, che, ignorando i consigli e gli avvertimenti del capitano Kirby York, suo secondo in comando cui concede anima e corpo il mitico John Wayne, finisce per inimicarsi le truppe e, fortemente determinato ad accrescersi la reputazione e l’onore militare, sfida Cochise alias Miguel Inclan, capo degli Apache.
Nel corso di oltre due ore di visione derivate dal racconto “Massacre” di James Warner Bellah e la cui prima parte viene riservata alla costruzione dei diversi personaggi; comprendenti anche Philadelphia, figlia di Thursday, e il giovane tenente Michael Shannon O’Rourke del quale è innamorata, rispettivamente con le fattezze di una cresciuta Shirley Temple (ritiratasi dalle scene l’anno successivo) e di un esordiente John Agar (all’epoca suo marito).
Lo stesso Agar che, successivamente visto anche in prodotti fantascientifici del calibro di “Tarantola” (1955) di Jack Arnold e “Assalto dallo spazio” di Edward L. Cahn, è poi tornato – in un ruolo diverso, però – ne “I cavalieri del Nord Ovest” (1949), secondo tassello della ideale trilogia sulla cavalleria iniziata proprio con “Fort Apache” (come s’intitola in patria la pellicola) e conclusa tramite “Rio Bravo” (1950).
Perché è il secondo tempo ad essere maggiormente indirizzato – grazie, in particolar modo, agli inconfondibili campi lunghi atti a racchiudere maestose scenografie naturali – a lasciar emergere quegli aspetti destinati a delineare il titolo in cui vengono definitivamente stabiliti la poetica fordiana e i suoi elementi; dalla mitizzazione del vecchio West all’intrattenimento popolare elevato fino alle altezze dell’epica e presentato in uno splendido stile visivo.
Senza dimenticare una spruzzata di umorismo tipicamente irlandese, al servizio di un vero e proprio capolavoro della Settima arte che anticipa non poco i connotati del moderno cinema americano volto al divertimento spettacolare e non privo di un certo retrogusto patriottico.
Un capolavoro che Dynit rende finalmente disponibile su supporto blu-ray, con trailer originale nella sezione extra ed un interessante booklet incluso nella confezione.
Francesco Lomuscio