“Storia di una ladra di libri”: la recensione

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Percival holocaust

Tra “Schindler’s list – La lista di Schindler” (1993) di Steven Spielberg, “La vita è bella” (1997) di Roberto Benigni e “Il pianista” (2002) di Roman Polanski, non possiamo certo negare che la tragedia dell’Olocausto abbia rappresentato una delle tematiche più gettonate dalla Settima arte sfornata nel periodo a cavallo tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI.
Tanto più che ai titoli citati – e ai quali potremmo affiancarne molti altri – va ad aggiungersi questo “The book thief” (come è conosciuta in patria la pellicola), diretto da Brian Percival partendo dalle pagine de “La bambina che salvava i libri”, bestseller scritto dall’australiano Markus Zusak che, pubblicato per la prima volta nel 2005, ha venduto otto milioni di copie in tutto il mondo ed è stato tradotto in oltre trenta lingue, aggiudicandosi, inoltre, una dozzina di premi letterari.

C’era una volta in Germania

Al centro delle oltre due ore e dieci di visione abbiamo Liesel alias Sophie Nélisse, vivace e coraggiosa ragazzina che, scossa dalla recentissima, tragica morte del fratellino nella Germania Nazista, viene affidata dalla madre incapace di mantenerla alla coppia formata dal buono e gentile Hans Hubermann e dalla irritabile moglie Rosa, rispettivamente con le fattezze di Geoffrey”La migliore offerta”Rush e della Emily Watson de “Le onde del destino” (1996).
In difficoltà nell’adattarsi sia a casa che a scuola, dove viene derisa dai compagni di classe perché non sa leggere, decisa a cambiare la situazione è proprio grazie al papà adottivo, nel corso di lunghe notti insonni, che viene iniziata alla lettura, nei confronti della quale comincia a provare un vero e proprio amore; mentre il crescente attaccamento verso la sua nuova famiglia si rafforza grazie all’amicizia con l’ebreo Max, ovvero Ben Schnetzer, che i nuovi genitori nascondono nello scantinato e che condivide con lei la passione per i libri, incoraggiandola ad approfondire le sue capacità di osservazione.

Rudy e spietati

E, man mano che, a causa della propria mania di rubare testi, viene presa in giro dal giovane vicino di casa Rudy, incarnato dal televisivo Nico Liersch, destinato a diventare il suo migliore amico, è proprio il loro rapporto a rappresentare uno dei punti fondamentali dell’operazione; non priva neppure di violenti contrasti con il coetaneo Franz Deutscher, cui concede anima e corpo il Levin Liam visto in “Wolfskinder” (2013), e di immancabile, classica sequenza del controllo in cantina effettuato dall’esercito tedesco.
Sequenza decisamente tesa e rientrante tra le più coinvolgenti dell’elaborato, caratterizzato da una curatissima ricostruzione scenografica cui, senza alcun dubbio, giova non poco la bella fotografia per mano di Florian Ballhaus (“Il diavolo veste Prada” e “Red” nel curriculum), ma che, strutturato su ritmi di narrazione decisamente lenti, rischia di risultare piuttosto didascalico.
Del resto, non è un caso che – dalla bravissima protagonista all’infallibile Rush – sia soprattutto la lodevole prova del cast a rimanere nella memoria una volta giunti alla conclusione di un semplicemente guardabile dramma storico, il cui principale scopo è quello di spingere lo spettatore a chiedersi come possa l’uomo essere bello e brutto allo stesso tempo.

Francesco Lomuscio

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