“Holy Motors” di Leos Carax: il film dell’anno!

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Presentato in Concorso all’edizione 2012 del Festival di Cannes, Holy Motors è un film  diretto e sceneggiato da Leos Carax ( Boy Meets GirlRosso Sangue, Gli amanti del Pont-Neuf, Pola X, Tokyo,) e interpretato da Denis Lavant ( Monsieur  Oscar), Edith Scob, Eva Mendes, Kylie Minogue e Michel Piccoli. Il film descrive le vicissitudini esistenziali di Monsieur Oscar, la cui professione consiste nel vivere molte vite diverse, passando dalla notte al giorno, da un personaggio a un altro, accompagnato dalla fedele e misteriosa autista bionda Céline, che lo assiste dentro una limousine bianca lungo le strade diurne e notturne di una Parigi surreale. A bordo della limousine, Oscar cambia continuamente vita, “trasformando il suo corpo” e il suo personaggio con una bravura e una perizia senza pari e recitando le parti di un banchiere, di un mendicante, di uno specialista di motion capture, di “Monsiur Merde”, di un padre di famiglia, di un suonatore di fisarmonica, di un killer, di una vittima moribonda e di un uomo di casa, esplorando quasi tutti i generi cinematografici e passando repentinamente dalla vita alla morte, dall’amore alla disperazione, spinto però da unico e “sacro motore”, quello del “gesto”, dell’azione, dell’ispirazione e quindi dell’amore per la settima arte.

Attraverso i travestimenti e la sovrapposizione dei ruoli del protagonista, Leos Carax, per dissomiglianza spinge lo spettatore a chiedersi continuamente chi sia veramente Oscar, in un eterno interrogativo che chiama in causa una riflessione sulle capacità di rinnovamento tecnico-artistico del cinema stesso, le cui sorti dipenderanno sempre e comunque dal motore (sacro) dell’ispirazione che si traduce in azioni e in parole, in una messa in scena dell’estro, del gesto, dell’azione creativaCarax esplora diversi generi, attingendo a piene mani dalla settima arte, in un gioco di citazioni che chiama in causa sia suoi autori più amati come Tod Browning, George Franju, Jean Cocteau, Bernardo Bertolucci, Charles Bronson, King Vidor, Stanley Kubrick, René Clair, che alcuni suoi film, tramite il personaggio di Monsieur Merde ad esempio, già presente in Tokyo (2008), individuo folle e ripugnante che si nutre di fiori, parla una linguaggio sconosciuta e vive nelle fogne vicino a un cimitero.

Nonostante tutto, Monsieur Merde riesce comunque a riconoscere la bellezza di una modella (Eva Mendes) con il suo unico occhio funzionante e, dopo una selvaggia incursione in un set fotografico, rapirà la donna per portarla con sé nel sottosuolo, costringendola a coprirsi il volto come una musulmana per preservare la sua figura dalla corruzione e la volgarità dello sguardo per poi adagiarsi accanto a lei completamente nudo e con il fallo eretto quasi come se fosse una lussuriosa Pietà di Michelangelo. Di questo film se ne potrebbe discutere all’ infinito, come delle domande fondamentali che pone in un continuo e aperto colloquio con il pubblico stesso : chi siamo veramente? Dove siamo diretti? Dove sta andando il cinema? La settima arte è destinata a morire oppure il suo “culto” vivrà in eterno? Allo stesso modo del personaggio di Oscar, tutti noi indossiamo delle maschere  e recitiamo dei ruoli dal giorno alla notte, e siamo per questo “uno, nessuno e centomila” tanto per citare Pirandello. Bellissimo il finale nel garage con le “limousine parlanti” che discutono del loro stesso “destino” e quindi del destino del cinema. Le limousine, occhio e mente mobile del regista,  rappresentano una metafora di un mondo in disfacimento, della fine di un’era, ma anche e soprattutto del “sacro” motore umano del corpo, del “gesto”, del movimento fisico.

Lo stesso Carax ha definito Holy Motors come un film di fantascienza, in cui uomini, animali e macchine, condividono uno stesso destino: l’essere a un passo dall’estinzione in quanto succubi di un mondo sempre più virtuale e superficiale, in cui le esperienze reali e le azioni genuine stanno lentamente scomparendo. La bellissima sequenza finale del ritorno a casa di Oscar è commentata dalle note di “Revivre”di Gerard Manset, le cui parole proiettano una luce triste e malinconica su tutto il film: “Noi vorremmo ri-vivere, è cioè vivere ancora la stessa cosa, il tempo del riposo non è ancora giunto”. Le parole della splendida canzone di Manset riassumono alla perfezione la condizione della settima arte e del genere umano,  nel loro eterna e meccanica ripetizione, sempre identica e immutabile, esattamente come i motori delle limousine, dei motori assolutamente “sacri”.

Maurizio Ragazzi

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