ANTEPRIMA, “Doppio Gioco” di James Marsh

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DOPPIO GIOCO JAMES MARSH / ROMA – Una madre single disposta a tutto pur di proteggere suo figlio, in un vortice di situazioni che la vedono coinvolta e braccata da un destino alla quale è sempre più difficile sottrarsi. “Doppio gioco” (Shadow Dancer), l’ultima opera diretta dall’ottimo James Marsh, è un thriller ambientato a Belfast, dove tutto ruota intorno a Collette McVeigh, che, in seguito alla morte accidentale del fratellino (di cui crede siano responsabili le forze armate), entra a far parte dell’IRA. Ma una volta che viene catturata, in seguito a un  attentato fallito nella metro di Londra, si trova costretta a decidere se rimanere  fedele all’organizzazione militare, di cui fanno parte anche i suoi fratelli, Jerry e Connor, o accettare il piano impostogli dall’agente dell’ M15, Mac, che potrebbe evitarle l’ergastolo e consentirle di continuare a crescere suo figlio Mark. Colette sceglie la seconda opzione, ritornando  a vivere nella sua città con la madre e i suoi fratelli, attivandosi come una spia, rivelando tutti i movimenti del suo gruppo. Ma il piano preparato da Mac subisce delle interferenze da parte dei suoi colleghi, in particolare il capo delle British Security Forces, Kate Fletcher (Gillian Anderson), che pur di sgominare l’organizzazione criminale sono disposti a lasciare la donna senza copertura, servendosi a loro volta di una talpa che si muove nell’ombra. Le informazioni di Collette si rivelano preziose nello sventare un attentato a un poliziotto, ma proprio questo fa insospettire Kevin, il capo dei servizi segreti dell’IRA, che mette alle corde la sua famiglia, sospettando che la talpa sia all’interno della stessa. Nel frattempo Mac, che non trova collaborazione nel proprio dipartimento, cerca di scoprire  l’identita dell’informatore per venire a capo della situazione.

Un thriller ben costruito dove l’azione e il contesto politico in cui è ambientato passano in secondo piano rispetto alla caratterizzazione dei personaggi. Ottima l’interpretazione di Andrea Riseborough (nella parte di Collette), che riesce con il suo sguardo perso nell’inevitabilità a dare il senso della situazione disperata che sta vivendo. E’ forte il contrasto cromatico studiato dagli autori dove i colori sgargianti della protagonista si oppongono a quelli grigi e più cupi delle location. Non è da meno il ruolo del sempre più eclettico Cliwe Owen (Mac), che riesce a impersonare con bravura il ruolo di un agente di polizia  attivo, senza aver bisogno di corse o salti nel vuoto per dare un ritmo allo svolgersi del’azione. Gillian Anderson, conosciuta per il suo passato in una serie di successo come X-Files, si è ben immedesimata nel ruolo di una donna, spietata nei confronti del collega Mac, pronta a tutto pur di ottenere il suo scopo. Una pellicola che mette i personaggi a confronto con il loro modo di essere, mettendoli alla prova sulle proprie convinzioni e filosofie di vita, ma senza per questo giudicare quale sia il giusto e quale sia lo sbagliato. Per l’occasione il regista si è contornato di un cast prevalentemente irlandese, ma anche, come nel caso di Brìd Brennan (la madre di Collette), di persone che hanno vissuto in prima persona l’epoca storica del conflitto, e questo ha conferito un senso di veridicità alla finzione. Come tutti i thriller che si rispettino non potevano mancare i colpi di scena e soprattutto quello finale che lascia di stucco lo spettatore. Una piccola pecca che sta nel buco narrativo all’inizio del film che crea un senso di disorientamento. Infatti si vede la famiglia di Collette che dopo un salto temporale di 20 anni non viene riproposta in tutti i suoi elementi, per esempio non si viene a sapere che fine abbia fatto il padre, che indirettamente è colui che ha scatenato la scintilla che ha dato alla ragazza il la per intraprendere un certo percorso di vita.

Diego Pedullà

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