In dvd: ‘Profondo Rosso’ di Dario Argento

IN DVD PROFONDO ROSSO –

Soggetto e Sceneggiatura: Dario Argento , Bernardino Zapponi;
Fotografia: Luigi Kuveiller;
Montaggio: Franco Fraticelli;
Musica: Goblin riadattamento di un tema di Giorgio Gaslini;
Scenografia: Giuseppe Bassan;
Costumi: Elena Mannini;
Effetti speciali: Germano Natali, Carlo Rambaldi;
Aiuto regia: Stefano Rolla;
Interpreti: David Hemmings (Marc Daly in foto), Daria Nicolodi (Gianna Brezzi la giornalista), Gabriele Lavia (Carlo), Clara Calamai (Marta madre di Carlo e assassino), Glauco Mauri (Giordani lo psicologo), Eros Pagni (commissario Calcabrini), Macha Meril (Helga Ulmann la medium), Giuliana Calandra (Amanda Righetti), Piero Mazzinghi (Bardi), Nicoletta Elmi, Aldo Bonamano, Iacopo Mariani, Liana Del Balzo, Fulvio Mingozzi, Pero Vida. Produzione: Salvatore e Claudio Argento per SEDA Spettacoli S.p.A. (Roma), Rizzoli Film.
Distribuzione: Cineriz.
Durata: 123’


VALUTAZIONE    * * * * / * * * *


Trama:
Congresso di Parapsicologia. La medium Helga Ulmann avverte una presenza sadica all’interno della sala. La sera stessa viene uccisa nella sua abitazione e un suo condomino, il pianista Marc Daly, diventa testimone impotente e involontario. Con l’aiuto di una giornalista stuzzicata dallo scoop, Marc inizia a indagare tanto da trovare tracce di un orrendo delitto commesso molti anni prima in un’antica villa. Il capolavoro più apprezzato in Italia del maestro Dario Argento. La compenetrazione tra il thriller e l’horror in un film dalle forti tinte macabre.

Il confine tra giallo e nero

 

Profondo Rosso, 1975. Il quinto film di Dario Argento. Dopo la trilogia degli animali e il decontestualizzato Le cinque giornate e prima di SuspiriaInferno: il film è uno spartiacque.[1] Sembra un traslare da una situazione a un’altra, un allontanarsi graduale da un universo fenomenico per avvicinarsi ad uno soprannaturale. I film pre e i film post rappresentano la dicotomia argentiana, due facce della stessa medaglia, un passaggio tanto sottile ma subito intuibile. Prima troviamo: il giallo; la razionalità; l’a posteriori; il meccanismo investigativo. Dopo trasliamo su: l’horror; l’irrazionale; l’a priori; lo scavato; l’assurdo; il dolore; il macabro. Argento costruisce un giallo che si distrugge da solo su se stesso dopo dieci minuti: un tavolo nero e dei dettagli di malattia; la crudeltà; una bambola fatta di fili e piena di spilloni; dei coltelli; delle biglie; dei guanti a riassumere la perversione. La struttura è quella del giallo (muore qualcuno e qualcun’altro inizia a indagare) ma giallo non può essere. Nella compenetrazione di generi che arricchisce il film ci troviamo di fronte a un’opera talmente complessa che mai verrà ripetuta nella filmografia argentiana. I delitti si compenetrano di un’efferata crudeltà che sfocia in attimi di dolore comune: spigoli appuntiti su cui sbatte la testa; acqua calda in cui affogare e morire lacerati dal calore; profonde ferite procurate da vetri scomposti. Gli omicidi partono dal punto comune di far provare i brividi di un qualcosa già vissuto sulla pelle dagli spettatori. Profondo Rosso come cesura tra quello che c’è prima. In questa pellicola si nota appunto la struttura giallistica sgretolata volutamente. Ad Argento in fondo non sono mai interessate le storie puramente giallistiche in cui si compie un omicidio e la polizia indaga sull’accaduto. Il ricorso all’assurdo viene qui esaltato da una voglia di deridere a priori anche le istituzioni e quella falsa accusa di essere un “Hitchcock dei poveri”.[2] E’ forse in questo film per primo e in questo più di altri che Dario Argento diventa Dario Argento. La musica in questo ambito gioca un ruolo fondamentale. Già dalla sequenza iniziale si capisce. Partono i titoli con una musica incalzante che all’interno del film significherà Morte. I titoli vengono interrotti da una nenia infantile che introduce un omicidio FC. Rappresenterà l’antecedente dei fatti narrati e il male oscuro che ha compromesso il presente. Il coltello cade in campo e sempre in campo entrano dei piedi di un bambino. Subito dopo ripartono i titoli e riparte il tema dei Goblin. Questi due campi acustici rappresenteranno il tema del film. Come quando si compone al pianoforte e ci si divide tra armonia e melodia.
Già da subito il regista inizia a giocare con lo spettatore disseminando indizi qua e là e abbattendo chi insisteva su una propensione per il giallo classico di stampo hitchcockiano. Poche sequenze dopo viene uccisa Helga Ulmann, la parapsicologa, e quando il protagonista (Marc Daly) si aggira sul luogo del delitto in uno specchio si nota distintamente la faccia di Clara Calamai.Quello rimarrà poi il motivo principale che farà diventare il musicista Daly detective di occasione. Continuerà a ripetere molto spesso “Devo ricordare, sono sicuro di aver visto qualcosa di importante”. Solo alla fine tornando di fronte a quello specchio riuscirà a fare chiarezza sui suoi lati oscuri.[3] Profondo Rosso è anticipatore di ciò che verrà dopo. Nel film infatti ci sarà, oltre alla normale percezione accidentale, un anticipazione di quella percezione traslata che tornerà in futuro. In InfernoSuspiria gli eventi sono sconvolti dell’irruzione dell’ignoto, dalle forze del male che provengono da un altrove sempre approssimativo. Susy Benner e Mark, protagonisti rispettivamente di SuspiriaInferno, compiono l’incontro soprannaturale con la Morte che lavora tramite un recupero della memoria. Susy arriva a Friburgo per frequentare l’accademia di Danza. Dentro essa si trova nella dimora dove abita il Male e viene rapita da queste forze: cadendo in stati di allucinazione; perdendo conoscenza; avendo improvvisi mancamenti. L’accademia nasconde un segreto, la stanza della direttrice, la stanza di Elena Marcos. L’impresa che invece cerca di perseguire Mark è quella di trovarsi al cospetto del creatore. Dopo aver incontrato Varelli, lo scrittore creatore delle tre madri, la Morte si mostrerà in tutto il suo orrore. Il personaggio di Varelli, inchiodato a una sedia a rotelle e privato della voce senza l’uso di un’apposita macchinetta, è relativa alla mancanza di comunicazione con un mondo traslato e lontano. Mark e Susy tramite la memoria cercano di ridare concretezza ad un passato irrimediabilmente sottratto alla rappresentazione scopica. In questo senso anche Marc Daly si trova in una situazione molto simile. Si ricorre a una leggenda, quella che gravita intorno a un luogo maledetto. In una villa poco fuori da Roma, molti anni prima, è stato compiuto un vorace delitto. Marc, attraverso la logica, arriva a capire l’importanza di oltrepassare la soglia e stabilire un contatto. Abbatte un muro, prima dalla facciata e poi dall’interno, e scopre uno scheletro in fase di decomposizione prima di essere colpito dall’assassino che però non lo giustizia anzi lo grazia. Marc è come mosso da un intuito che lo porta a spingersi in quei luoghi ormai comuni superando dei valichi che prima sembravano neanche esistere. E’ in questo che anche lui si fa portatore e anticipatore della percezione traslata.[4]
Nei film di Argento spesso ci troviamo di fronte a una figura di assoluta credibilità e fiducia che è allo stesso tempo esposta al rischio e inattaccabile. Questa figura è rappresentata da David Hemmings. Netto affiora il voluto gioco di ruoli tra l’antonioniano Hemmings e il commissario Pagni. Nel loro primo incontro, sul luogo del delitto, Hemmings ha il volto contratto che si interroga mentre Pangi mangia in malo modo un tramezzino. Paradosso di un rapporto portato all’estremo per tutta la pellicola. Pagni è un commissario ma sembra non esserlo infatti è più attento al suo panino o alla giacca colpita di striscio che ai fatti del crimine. Lì dove c’è da indagare c’è Hemmings rispetto al commissario. Subito dalle prime sequenze, quando viene assassinata la medium Helga Ulmann, Hemmings invece di scappare come farebbe qualsiasi altro essere umano accorre sul luogo del delitto. Più di una volta si trova catapultato nel massacro e spesso vi “scava” addirittura dentro. Insospettito dalla lettura di Fantasmi di oggi e leggende dell’età moderna si trova di fronte al mistero e proprio come un bravo detective trova ciò che all’occhio dello spettatore si cela. Non ha paura di rischiare perché grazie alla fervida immaginazione Argentiana ha qualcosa in più degli altri personaggi (notare Daria Nicolodi accoltellata e lui mai sfiorato). Ma l’assassino è spesso più veloce di lui: sempre sulle sue tracce; sempre pronto a immobilizzare il suo personaggio; sempre pronto a fermarlo dovesse mai superare la soglia di quel limite tanto fragile su cui balla. Questo espediente del musicista/persona comune/detective  non compare così per la prima volta qui. Ci troviamo nella stessa situazione nei tre capitoli precedenti della filmografia.[5] Diegesi argentiana o semplice sfiducia nel fiuto della legge? Come non mai, appunto, inProfondo Rosso si sente questo dislivello. David Hemmings poi è semplicemente straordinario. Alle spalle l’esperienza con Antonioni in Blow up (1966)  acquisisce delle proprietà prettamente di genere. Blow up non è poi troppo lontano da Profondo Rosso. Hemmings è un fotografo che tramite degli ingrandimenti diventa testimone di un omicidio. Ormai l’inglese è già pienamente calato nel giallo e pensare che all’inizio il protagonista non doveva essere nemmeno lui: “Inizialmente il protagonista doveva essere Lino Capolicchio, che avevo conosciuto sul set di Metti una sera a cena. Purtroppo non si è fatto nulla perché si era ferito in seguito a un incidente d’auto. Hemmings era perfetto nella parte dello straniero a Roma. Rendeva veramente bene l’idea di musicista inglese simpatico, moderno, intelligente. Mi aveva colpito molto in Blow up ma anche in altri film”.[6] Così commenta Dario diversi anni dopo e il retroscena è interessante ci fa venire alla mente possibili volti alternativi al perfetto inglese. Tutto il cast poggia su solide basi ma quello che sembra essere un filo rosso di fondo è la presenza di personaggi di estrazione teatrale: Glauco Mauri, Gabriele Lavia  e Giuliana Calandra su tutti. La motivazione sembra essere rinchiusa nella propensione di Dario a lavorare con gente pronta all’improvvisazione, all’immedesimazione e che dimostri alto grado di professionalità. E’ per questo che una delle colonne del film, ma non solo di questo, rimane Daria Nicolodi. Il film segna anche l’inizio della storia d’amore tra il regista e la fedele attrice che si interromperà bruscamente nel ’94 e che porterà alla luce la splendida Asia. Gossip, anche su questo la stampa non ha fatto a meno di divertirsi. In una sequenza, nella parte centrale del film, Daria trova la foto di una giovane attrice sulla scrivania dell’uomo con cui sta flirtando nel film (Marc Daly). I più maliziosi hanno sostenuto fosse una foto di Marilù Tolo, ex di Dario Argento, segnando quasi un passaggio di consegne tra le due, tanto che la Nicolodi getta tale foto in un cestino. Ma ovviamente Dario fu subito pronto a smentire: “Quella fotografia non ritraeva affatto Marilù, bensì una normalissima attrice che doveva avere una particina. C’è una strana somiglianza probabilmente anche dovuta alla luce che illuminava la scena. Dopo aver visto il film, la Tolo mi ha spedito una lettera piena di insulti alla quale non ho neppure risposto perché mi sembrava una stronzata…”. Nel film, anche se guardando la diegesi non sembrerebbe, la figura di Daria Nicolodi assume un’importanza decisiva. Il suo rapporto di intesa quasi immediata con Marc Daly è l’altra micro-storia che fa reggere il racconto in piedi perché oltre alla serie di efferati delitti la diegesi si contorna di altri piccoli schizzi significativi. Abbiamo così: il flirt tra Daria-Gianna e David-Marc; il mondo di dissociazione mentale di Carlo; lo scorcio psicologicamente turbato della bambina che mette gli spilloni alle lucertole. Portando agli estremi questi diversi episodi si potrebbero tirar su diversi film che invece assottigliati nella struttura narrativa ci danno un pellicola ad alta comprensibilità. Altra scelta quanto meno rischiosa è quella di puntare su star affermate e dal passato glorioso Clara Calamai. Questa è la prima di tante citazioni e a lei è affidato il delicato ruolo dell’assassino che riporta con la memoria al cinema dei telefoni bianchi e a Ossesione. Sembra implicito un voler dare un tributo personale, un inchino, al cinema del passato ma anche il tentativo di rimanipolare i ruoli in direzione stregonesca e maligna (vedi anche Alida Valli in Suspiria eInferno; Joan Bennett in Suspiria e Piper Laurie in Trauma). Profondo Rosso è un preciso discorso sul linguaggio cinematografico e su un modo diverso di fare cinema. Argento è ossessionato dallo sguardo, dal preciso momento in cui l’occhio, sia esso dell’assassino, dell’investigatore o della vittima, incontra la realtà, si lega ad essa. Ed è l’uso della soggettiva ad essere totalmente nuovo. Strumento di suspence è spesso lo sguardo dell’assassino. Spesso siamo portati a vedere quello che vede lui e a capire cosa prova. Significativo è l’omicidio di Giuliana Calandra che nel momento dell’affogamento nella vasca viene ripresa proprio in soggettiva dell’assassino. Le soggettive sono usate sostanzialmente in due modi.[7] La prima appartiene al possessore di uno sguardo di cui conosciamo l’identità; la seconda a qualcuno la cui identità viene celata per quasi l’interità del film. La prima la potremmo definire classica ed ha una doppia funzione: cognitiva se sussiste all’indagine con uso di obiettivo a focale normale; sinestetica se si tratta di quella di una vittima o di una persona in pericolo con l’uso di deformazione con obiettivi a focale corta (grandangolari) e un’illuminazione espressionista. La seconda è la più interessante perché fa diventare la “soggettiva dell’assassino” la figura che contiene un’idea di messa inscena. E’ una soggettiva celibe proprio perché non si accoppia mai al volto di chi possiede semplicemente perché non sappiamo chi sia. L’effetto è quello di spaesamento dello spettatore ma lo mette anche di fronte ai ragionamenti dell’assassino, ai suoi meccanismi. Lo spettatore diventa parte del gioco dell’assassino e riesce a immagazzinare informazioni utili su di lui. Profondo Rosso quindi funziona da centro irradiatore della poetica di Dario. Sta li che gestisce ciò che viene prima e indirizza ciò che viene dopo. In esso nulla è casuale, come in ogni film di Argento, ogni movimento è studiato come ogni personaggio anche non di rilievo. E’ una costruzione armonica e perfetta. Tanto perfetta che anche se alcuni fatti sembrano superflui la mancanza anche di uno solo farebbe sgretolare il tutto.
Guardandolo a posteriori è uno dei film più compiuti di Dario e senza dubbio il più completo. Temi narrativi ricorrono in questa pellicola ma senza far pensare alla stanchezza. In Italia è quello che raccoglie più felicitazioni soprattutto dalla critica anche se all’estero a colpire forse è più l’horrorifico Suspiria, tanto che Profondo Rosso uscirà in Giappone postumo col titolo Suspiria 2. Rimane solo da stabilire quando la cinematografia italiana, ma anche mondiale, riuscirà a concepire un capolavoro di simili proporzioni: per diegesi; suspence e costruzione tempo-spaziale. Guardare questo film vuol dire mettere una pesante ipoteca sullo studio di un’artista che ha dato, e darà, tantissimo al cinema italiano. Ad andare a riguardare tutti gli altri film ci accorgeremo che in Profondo Rosso è già tutto scritto e forse sta anche qui un po’ il limite di Argento che non è riuscito a staccarsi da questo immenso capolavoro. Certo raggiunta la perfezione è difficile superarla ma dal carattere e dalla prestanza di un maestro così ci aspettiamo questo e altro.

 

Profondo Rosso…Profonde Tenebre[8]
Il nome Profondo Rosso ci diventa più chiaro, dopo che ce l’avevamo sfocato in testa, nell’ultima immagine del film. Clara Calamai/il killer viene decapitata dalla sua catenina che si incastra nella rete di protezione dell’ascensore sul pianerottolo di casa sua. La testa viene spazzata via con violenza e dopo alcuni dettagli rimane solo quello: Profondo Rosso. Rosso il colore del sangue, del dolore ma anche della passione ma perché Profondo? Dopo alcuni secondo in cui l’mdp indugia su questa pozza di sangue, provocata dalla decapitazione di Clara, si nota la faccia di Marc che scruta curioso e impaurito dall’alto. La visione di Marc in questa immagine distorta è racchiusa in un Profondo Rosso che poi è una metafora di tutto il film. L’atmosfera di tutta la diegesi è quella di trovarci in un grande incubo che inizia ancora prima che si concretizzi il primo omicidio. La prima sequenza è l’antefatto e già dopo venti secondi di film capiamo che stiamo osservando un cinema diverso da quello tradizionale. Un nuovo modo di fare cinema che si distacca da quello precedente e anche se Bava può considerarsi il vero iniziatore, non perché sia il primo, di un genere o meglio di un modo di fare in Italia. Profondo Rosso rompe con tutto. Porta la violenza, lo scavato psicologico, il disturbo. E questo passare da un modo quasi ludico-poliziesco, descritto nei film di Bava ma anche nei primi tre di Argento, al terrore vero e proprio, è quanto meno innovativo. Vari strumenti si affacciano nel tentare questa nuova scuola e sicuramente in questa pellicola più che in altri la musica e i movimenti di macchina assumono un ruolo fondamentale. I Goblin per la prima volta lavorano con Argento dopo la rottura del sodalizio con Morricone già avvenuta nel film precedente. Il loro impatto con il film è dirompente tanto che trent’anni dopo per il secondo episodio di Masters of HorrorPelts, il motivetto sarà lo stesso. L’incedere costante del terrore nelle inquadrature e questo senso di mistero insinuato dalle immagini in cui il killer si prepara sono significative. Tutto reso possibile dall’obiettivo Snorkel. Questo livello tecnico ci mostra  la voglia che ha Dario di sperimentare soprattutto sul campo. Quattro mosche di velluto grigio è un film molto sperimentale che senz’altro ha aperto la strada al più sperimentale dei suoi Profondo Rosso, appunto. La tematica del terrore, che è quindi al centro, sarà poi ripresa e rielaborata non solo nel proseguire della carriera del maestro ma anche nell’esperienza visiva di altri registi. Lucio Fulci è sicuramente quello più in debito con un modo di fare film molto simile e che porterà i due a non parlare per più di vent’anni dopo l’appropriazione indebita che coinvolgeva gli animali nei titoli dei suoi film. Dario Argento è maestro e il film in questione lo eleva a un cinema che si differenzia da tutti gli altri e che per la prima volta ci fa esclamare: “E’ un film di Dario Argento”. Se nei precedenti la sottigliezza dello stile era comunque vaga qui Dario si sente più maturo. Quattro film alle spalle e l’esperienza televisiva de La porta sul buio hanno pesato decisamente. Dario ora è un uomo ma un uomo di cinema e riesce senza tanti problemi a sviluppare una poetica che è solo sua e che risiede nelle tenebre. Una poetica e uno stile registico che rompe con gli schemi del passato reinventando un genere. L’horror in Dario Argento è qualcosa di sconosciuto all’epoca e le reazioni sono eterogenee. Pochi riusciranno subito a concepirne il genio tanto che le violenze e le frustrazioni saranno spesso scambiate per sadismo, insinuando accuse insensate al maestro. I film saranno spesso criticati senza essere a conoscenza della presenza di materiale che rivoluzionerà tutto un modo di fare. Dopo aver visto un film di Dario Argento e di più dopo aver visto IL FILM di Argento,Profondo Rosso, ci renderemo conto di essere entrati in una dimensione scopica diversa dalle altre. Le tenebre saranno la nostra nuova residenza e potremmo aver bisogno di alcuni spilli per reggere le nostre palpebre e non aver paura di chiuderle.[9]

Analisi di una sequenza: Omicidio Righetti (seq. XVIII)
La descrizione

 

Timing 57.28 Panoramica su una biglia che va a colpirne delle altre su un panno nero; dolly lento + zoom su una bambola strozzata da un nodo di filo; panoramica su dei guanti neri di pelle fino al dettaglio della cerniera; dolly 360° su un occhio pesantemente truccato in montaggio alternato con il campo lunghissimo di una casa; la casa in campo lunghissimo con delle voci in lontananza; due donne in mezza figura (a destra Giuliana Calandra, a sinistra una vecchietta )parlano, la vecchietta dice: “Mi scusi Signora, io non riesco a capirla sa. Mi dice perché si è messa in casa questi strani merli indiani?”, Giuliana risponde: “Be, mi fanno sentire meno sola, fischiano, imitano tutto, la televisione, le nostre voci” la vecchietta: “Oh santo cielo! E’ come avere un matto in casa. Io avrei paura. Arrivederci” Giuliana: “Arrivederci Elvira”; campo lunghissimo ancora della casa con Elvira che si allontana e Giuliana rientra; zoom veloce sul citofono al nome di A.Righetti; mezza figura di Giuliana-Amanda all’interno della casa + panoramica a precedere che ci mostra una bambola impiccata al soffitto e mentre Amanda esce zoom veloce sulla testa della bambola; mezza figura di Amanda che si affretta fuori; quinta di Amanda che cerca di fermare la governante che partiva con il bus alzando una mano e gridando “Elvira!!!” poi si gira sconsolata; campo lunghissimo della casa con lei che rientra; mezza figura mentre chiude il cancello, raccordo sul sonoro con un rumore che fa muovere la ragazza seguita da un carrello orizzontale; dettaglio della porta che sbatte; dall’interno totale di Amanda; campo più lungo che fa entrare nell’inquadratura la bambola impiccata e in campo lunghissimo Amanda in totale, inizia a sentirsi una musica terrificante; panoramica a seguire; panoramica orizzontale fino al dettaglio di un armadio pieno di cappotti fino a uno zoom velocissimo (baviano) verso il dettaglio di un occhio nell’armadio; mezza figura di Amanda che prende la bambola a cui si toglie la testa e cade a terra; dettaglio della testa a terra; dettaglio lampada accesa; due dettagli del merlo che si agita nella gabbia; dettaglio interruttore; mezza figura di Amanda in salotto, si vede in lontananza una luce che si spenge e lei fa un salto; dettaglio gabbia; mezza figura di lei si spenge la luce; panoramica orizzontale veloce a seguire lei che si getta verso la porta; dettaglio della mano che tenta di aprire la porta e panoramica verticale verso lei distesa a terra; dettaglio di una mano con un guanto nero che tiene un mangia nastri, parte una nenia infantile, lento zoom verso il nastro; da campo lungo di lei di profilo zoom moderatamente rapido; mezza figura di lei a terra che si lamenta; “il fantasma della villa” dice di profilo; dettaglio ferri da cucire dentro gomitoli di lana; profilo si ferma la nenia; mezza figura di lei che prende un ferro; quinta; totale di Amanda a terra con il ferro in mano, merlo che si scaglia verso di lei; 4 dettagli del merlo infilzato e Amanda urla; quinta; dettaglio merlo a terra morto; quinta; dettagli merlo su poltrona; mezza figura di Amanda; dettaglio merlo poltrona; mezza figura parte la musica incalzante che vuol dire terrore; mezza figura l’assassino compare alle spalle della donna che gli da una botta in testa; dettaglio arma, una torcia che si trasforma in una soggettiva dell’assassino; panoramica a precedere la donna che va verso il bagno; leggero zoom verso la vasca; nuovamente panoramica donna; panoramica orizzontale dentro il bagno; amanda a terra; carrello a seguirla di spalle fino a che compaiono le mani del killer in scena che la prendono per la testa gliela fanno sbattere al muro poi le cade a terra; dettaglio goccia di sangue sulla mattonella; pp faccia a terra; dettaglio mani che aprono il rubinetto; dettaglio del rubinetto; pp faccia donna svenuta; dettaglio rubinetto; dettaglio vapore sulle mattonelle; dettaglio mattonelle; dettaglio acqua che riempie la vasca; dettaglio della vasca; panoramica a precedere del killer che porta la donna verso la vasca strusciandola a terra; soggettiva del killer che affoga la donna; donna a terra; pp donna morente; tot donna; pp donna; tot donna;  dettaglio donna che scrive sulla mattonella con un dito; dettaglio finestra che si apre; dettaglio rubinetto; dettaglio mattonelle che perdono l’opacità provocata dal vapore; zoom dal totale della donna fino al dettaglio della mano, la donna è morta. Timing 1.05.26

Un omicidio che riassume tutto
L’analisi

 

Nella descrizione delle sequenze XVII-XVIII c’è tutto il linguaggio cinematografico di Dario. La prima sequenza ci illustra dei “feticci” del serial-killer e una parte del suo corpo: l’occhio truccato pesantemente che ritroveremo nell’armadio. Quest’occhio significativo sarà il nostro unico punto di contatto con il killer. Infatti fino all’ultima sequenza sarà l’unico elemento del corpo che il regista ci farà vedere. Dandoci un indizio, giocando con noi, ma senza dirci niente. Il trucco pesante di quest’occhio diventerà per noi momento di perversione e di rifiuto nei confronti di un personaggio che sentiamo lontano da noi e in fondo ci spaventa molto. Sarà l’occhio da cui guarderemo anche noi nelle numerose soggettive ma a cui non assoceremo mai un volto ma solo delle sensazioni, ci seguirà in tutto il film. Per questa sequenza, ripetuta diverse volte nel film con delle varianti, veniva usato l’obiettivo Snorkel. Un tubo lungo trenta centimetri che si applica alla cinepresa. All’estremità dello Snorkel c’è uno specchio che riflette il soggetto inquadrato, che a sua volta è riflesso all’interno del tubo da una serie di prismi messi in posizione obliqua fino a impressionarsi sulla pellicola. Inoltre, si montava la macchina da presa su alcuni binari sospesi per aria che si snodavano. Una soluzione che permetteva dei movimenti impossibili dal basso. L’uso di questa tecnica è un estremizzazione di quello “sguardo interno” inaugurato da Armando Crispino nel ‘72 in L’etrusco uccide ancora e tanto usato nel cinema anni 70 di genere.[10] La seconda sequenza invece è il classico omicidio argentiano. Da una situazione di presumibile quiete si passa all’azione violenta. La musica è usata nel tessuto diegetico e spesso con intelligenza italiana, la quale presumeva al profondersi del suono la presenza di una fonte.[11] La musica incalzante è esterna ma la nenia infantile è direttamente azionata dal serial killer tramite un registratore a nastro. L’uso della mdp scarno, essenziale, ridotto ai minimi termini. Una serie di dettagli fanno salire la tensione e a volte ci servono per anticipare un’azione successiva: il generatore della luce prima che venga tolta dal killer; le gabbiette dei merli prima che si scaglino contro Amanda;  i ferri da lana prima che vengano usati come arma; la vasca prima che la donna vi ci sia affogata; il vapore prima che Amanda morente a terra lo usi per comunicare con chi tornerà sul luogo del delitto. Nulla è quindi lasciato al caso o fine a se stesso, ogni inquadratura anche nella sua complessità ha un suo senso e questo continua in tutto il film.
L’horror-thriller, in generale nella sua storia, è tempestata di questi momenti-istanti di tensione, fini a se stessi, predisposti solo per elevare a rango superiore storie forse mediocri di contenuti. Lo spazio è usato in maniera claustrofobica dando allo spettatore la possibilità di mimesi con chi quello spazio lo abita. Amanda Righetti è fuori da quella casa , appena dopo aver salutato la sua governante che si appresta a prendere il bus, vi torna dentro e trova un bambolotto impiccato al soffitto. Impaurita e a conoscenza della presenza di qualcuno all’interno della casa si precipita di fuori ma il bus sta partendo. Invece di cercare la fuga si chiude dentro casa, sapendo che c’è un killer-psicopatico ?!?, e andando incontro alla morte. I personaggi dei film di Dario sono claustrofobici. Come il pianista-protagonista Marc Daly che assistendo al delitto della medium Helga Ulman da distanza ragguardevole preferisce andare di getto e seguire l’istinto nel recarsi sul luogo del delitto; o come quando sentendo dei passi in casa sua si chiude nella stanza con il pianoforte. Così Amanda si mette in ginocchio con un ferro da maglia in mano in un angoletto tra una poltrona e una libreria quando il killer ha staccato la luce e ha dimostrato la sua presenza. Imprevedibili e umane, queste scelte a un primo sguardo del film ci portano a immedesimarci grazie a omicidi estremamente veri , fatti di azioni quotidiane, che ci portano a provare dolore: denti sbattuti su spigoli; acqua bollente sul volto; catenine che strozzano; finestre che tagliano.[12] Si fonda un distacco inevitabile dal classico thriller all’italiana (lanciato sempre da Dario) contaminandolo di horror puro. Argento estremizza le trovate macabre. Non tanto per la presenza della sensitiva quanto per la continua percezione dell’assassino. In definitiva ci troviamo di fronte a una Ghost Story. A far paura non sono l’efferatezza degli omicidi che sfiorano il trasporto erotico ma a far paura è il totale dell’interno del teatro vuoto subito dopo la conferenza  di parapsicologia, oppure il buio della villa o il silenzio carico di presagi che domina i luoghi prima e dopo i delitti. Assenze, fantasmi, non visto, la musica, la tensione. La novità sta proprio nell’aver portato alle estreme conseguenze questo meccanismo di suspense e di averlo avvicinato al gore.[13] A questo poi va aggiunto un uso della mdp del tutto innovativo e particolare che tornerà in tutta la filmografia. Lo sperimentalismo di sempre nuove tecniche e la cura dei particolari sono ripetuti. I particolari, appunto, sono estremizzati. Una scena che un altro regista liquiderebbe in due minuti, richiede a Dario giorni di lavoro. Viene in mente la sequenza in cui viene uccisa Daria Nicolodi in Opera: la donna mette un occhio allo spioncino della porta a cui hanno suonato e il killer, dall’esterno, spara direttamente nello spioncino facendo esplodere la testa di Daria. Un regista normale se la sarebbe cavata con un semplice raccordo sul suono unendo l’esterno con l’interno dell’abitazione facendo vedere semplicemente l’attrice cadere a terra, Dario non è un regista normale ma è straordinario. Per fare raccordo tra interno e esterno Dario decide di farci vedere il percorso che compie la pallottola dentro lo spioncino. Quindi dove un altro regista con un’ora di riprese avrebbe finito la scena, Dario solo per l’inquadratura della pallottola (2 sec.) userà giorni e giorni di riprese facendosi mandare un apparecchio ad alta tecnologia dalla Germania, usato per fare esperimenti, che riprendeva a molto più dei standard 24 fotogrammi al secondo. Semplice virtuosismo, no! E’ proprio in questo meccanismo che si riconosce la mano di Dario e la sua volontà ultima di farci entrare dentro ogni più piccolo particolare fino a “scavare” come farà Marc Daly; come farà Sam Dalmas; come farà Franco Arnò e così via… In Profondo Rosso ritroviamo poi questo “scavare” grazie al protagonista Marc Daly e grazie soprattutto allo stile della mdp. La mdp raramente in questo film si presenta fissa è anzi spesso dinamica: panoramiche; dolly; soggettive. Lo stile del regista emerge da questi movimenti che raramente ci portano a guardare la stessa immagine fissa per più di alcuni secondi. La volontà è anche quella di rendere il film abbastanza dinamico dando l’impressione di un assassino sempre presente, sempre dietro l’angolo pronto a colpire (vedi quando compare nel buio alle spalle di Amanda Righetti)[14]. Anche il piano sequenza è usato ma in maniera del tutto diversa da come lo conosceva il cinema italiano. Pensando al piano sequenza ogni cineamatore del tempo idealizza Michelangelo Antonioni. Il maestro Emiliano ne fa un uso drammatico, statico, ne traspare un sentimento incomunicabile, quello da cui i suoi personaggi sono pervasi, volutamente rallentato. Prendiamo la scena dell’omicidio delle lesbiche in Tenebre. Timing 26.50 la mdp parte dalla finestra dove si sta affacciando una delle due donne e inizia un lungo piano sequenza, la telecamera sale fino alla finestra corrispondente al piano superiore, si muove in maniera orizzontale fino alla finestra della camera dove sta l’altra donna, entra nella casa attraverso la finestra, poi riesce e continua a salire, fino al tetto dove capiamo che è forse una soggettiva di qualcuno(l’assassino) che si trova all’esterno della casa, la mdp riscende dopo essere passati sull’altra facciata dell’abitazione per entrare attraverso una finestra, per poi riuscire e riscendere, fino a una finestra chiusa da una serranda di legno forzata da delle mani che sono troppo lontane e ci fanno capito che non era una soggettiva. Timing 29.21,stacco, un piano sequenza di quasi tre minuti che non ha detto quasi niente, che ha portato via molti giorni di lavorazioni quando se ne potevano usare molti meno, ma non fine a se stesso.[15] Questo ballare tra soggettiva e non, questo essere informati sul fatto che c’è qualcuno all’esterno fa salire in modo prepotente la suspense. Proviamo a fare un esperimento: tagliamo con un semplice programma di montaggio questo piano sequenza all’apparenza inutile. La scena crolla, non si regge in piedi e nessuno capisce che c’è qualcuno pronto a colpire. InProfondo Rosso l’uso del piano sequenza è del tutto simile. Un esempio spesso richiamato è quello in qui viene usato lo Snorkel nei momenti in cui viene descritto il suo mondo, dando allo spettatore un sentimento di disagio impossibile da creare tramite numerosi tagli di montaggio. Dario Argento è maestro in questi momenti che potremmo chiamare semplicemente d’attesa. Questi momenti di attesa tornano in tutti i film e sono presenti in ogni omicidio in maniera più o meno sottolineata. Crescono poi all’interno del film in maniera proporzionale al procedere del timing. Perché se in Profondo Rosso il primo omicidio, quello di Helga, avviene quasi immediatamente quando ci rendiamo conto che c’è qualcuno che rompe la quiete, gli altri sono un crescendo, un continuo delirio. La mdp è fondamentale, scarna, essenziale, senza grandi pretese. Va a scavare, appunto, e non si ferma di fronte a niente, ci da tutti gli indizi necessari per arrivare nel cuore delle situazioni analizzate. Un cinema di stampo fantastico non può essere un cinema realista e anche l’uso della mdp sottolinea questo fatto. L’uso del mdp è però diverso dal cinema di genere e in questo film troviamo un modo tutto nuovo di farlo. Non troviamo il taglio prettamente documentaristico di Wes Craven, non troviamo gli zoom veloci di Mario Bava, non troviamo la veloce crudeltà di Tobe Hooper ma troviamo Dario Argento. Un cinema fatto di movimenti di macchina mai statici ma nemmeno vorticosamente accelerati; di soggettive; di minuziosa cura nei particolari e nelle fasi diegetiche.
Vittime designate e uomini inattaccabili

 

Tutti, o quasi, i film di Dario Argento hanno un protagonista che assume i panni dell’uomo intoccabile.
E’ una fonte di sicurezza dello spettatore, l’unico di cui esso si possa fidare. Gli altri personaggi sono tutti velati di una misteriosa e sfilacciata figura. Oltre a a essere un punto referenziale di appoggio per lo spettatore i protagonisti sono intoccabili e il killer non riesce mai, o non vuole, a ferirli o intaccare la loro figura. Spesso posti parallelamente a questi c’è una figura femminile, nella seconda parte della filmografia i ruoli si invertiranno, che fa da spalla e spesso è esposto a rischi anche se difficilmente muore. Si dirà poi che per coincidenza o per scelta questo personaggio-uomo-intoccabile è spesso un uomo comune, quasi sempre un’artista, che si ritrova coinvolto senza volerlo in un omicidio e come accusato/testimone oculare anche se la sua è una situazione di passaggio è costretto a rimanere nelle vicinanze e collabora alle indagini fino a interessarsene marginalizzando l’operato della polizia. E’ così che scorrendo la prima parte della filmografia del maestro romano troviamo personaggi maschili nella maggior parte dei casi coinvolti nel mondo dell’arte: uno scrittore americano in soggiorno a Roma “Sam Dalmas” “Tony Musante”; un appassionato di enigmistica cieco “Franco Arnò”  “ Karl Malden”; un batterista che commette un involontario omicidio “Roberto Fabiani” “Michael Brandon”; il musicista inglese che abita a Roma “Marc Daly” “David Hemmings”. Proprio Marc Daly-David Hemmings è il protagonista di Profondo Rosso. E’ lui il personaggio inattaccabile e di fiducia a cui si pone in  contrapposizione una stupenda Daria Nicolodi. Profondo Rosso nel diramarsi della sua diegesi è un film molto complesso e la lancetta della soluzione dell’enigma è sempre molto incerta. Marc Daly è il nostro personaggio di fiducia anche perché è difficile guardare il film senza immedesimarsi con lui. La sua timida educazione inglese ci avvicina a  lui e le sue scelte vengono spesso incoraggiate da chi guarda. Già dall’omicidio di Helga Ulman si capisce che lui sarà il perno del film anche perché il paragone con il commissario Pagni è veramente impagabile. L’ispettore mangia malamente un panino e sembra più interessato agli hobbies di Marc che all’omicidio; Marc dal suo è preoccupato e cerca di ricordare qualcosa, quel qualcosa che gli sfugge. Sul luogo dell’omicidio fa poi la sua apparizione la giornalista Gianna Brezzi-Daria Nicolodi che con la sua invadenza provocatoria ci sembra anticipare che sarà il lato femminile del film. PerchéProfondo Rosso è anche una storia d’amore tra una giornalista e un musicista in un attimo difficile per entrambi. Anche il coinvolgimento dei due ci fa fidare di più di Marc. Il musicista infatti è legato alla vicenda da un sentimentalismo per la causa quasi sovrannaturale, che viene da chiedersi chi si sarebbe esposto a tali rischi solo per il sospetto di aver tralasciato un particolare all’interno del luogo del delitto. La giornalista è più infida e vuole lo scoop della sua vita. Chi ci assicura che non aspetti mosse sensazionali del killer per raccontarle o che addirittura sia lei il killer tanto cercato? Ad istinto Marc Daly appare una figura più sicura, più quadrata e l’uso della mdp nei suoi confronti è diversa rispetto a quello con Daria. Sempre in primo piano Marc, Gianna compare solo in presenza di questo. Infatti non compare quasi mai da sola e quando nel campo controcampo con Marc il regista è quasi costretto a darcene un immagine pura c’è sempre la quinta di Marc come riferimento (es. seq. XXVII). Gianna è impotente da sola tanto che subisce, all’interno della scuola alla ricerca del disegno, che forse ci svelerà il volto del killer, un attentato dal killer proprio quando si allontana dal pianista. Marc è intoccabile. All’interno del percorso narrativo spesso l’assassino ha la possibilità di colpirlo fatalmente ma c’è sempre qualcosa che lo ferma. A volte è una porta che blocca l’ingresso, ridicolo se si pensa che con gli altri queste diventano un particolare (vedere l’omicidio di Glauco Mauri). A volte è semplicemente il fatto che questo personaggio non vuole essere portato via  dal tessuto narrativo e infatti il killer lo stordisce appena dentro la villa quando il mistero è quasi svelato. Il killer affronta diversi personaggi anche più prestanti fisicamente e l’ha sempre vinta mentre nel finale quando si trova di fronte al pianista è sconfitto come da una misteriosa superiorità manifestata. Nel proporre questi due personaggi i due sono senza dubbio straordinari. David Hemmings veniva dall’esperienza di Blow-up del 1966 ma tra i due film aveva fatto anche molte altre parti, tra cui quella in Frammenti di paura, che lo avvicinano al ruolo e al genere. Già in Blow-up dimostra tutte le sue capacità giallistiche che poi in Profondo Rosso sono fatte esplodere lasciandoci un protagonista equilibrato. Il ruolo del musicista inglese gli calza molto piacevolmente e il suo agire razionale lo avvicina allo spettatore. Anche se risulta freddo a primo impatto è semplicemente permeato di una timida educazione inglese. Daria Nicolodi veniva dall’ultima esperienza con Elio Petri in La proprietà non è più un furto. Si dimostra matura anche per iniziare uno di quelli che si possono chiamare sodalizi. Volutamente provocatoria riesce con la sua sensualità a catturare almeno la metà di spettatori, quelli di sesso maschile. Questa subordinazione al pianista è già nota nella sequenza in cui Gianna compare. Nel campo controcampo con il commissario Pagni vengono inseriti dei campi medi e ravvicinati di Marc sotto invece il tessuto sonoro è quello della voce di Daria. Il tutto è una dichiarazione di intenti. I restanti personaggi sono quasi tutti, almeno i più rilevanti, di chiara estrazione teatrale: Glauco Mauri; Gabriele Lavia e Giuliana Calandra. Il primo rappresenta un impotente psicologo assistente della parapsicologa Helga che sembra essere li più per caso che per preparazione; morirà in maniera orribile sbattuto di qua e di là contro le sporgenze dei mobili del suo studio. Giuliana Calandra è presente in una sequenza di 8 minuti (descritta precedentemente) e il suo apporto al film è importante perché il suo ruolo tocca il climax della diegesi. Gabriele Lavia anche se presente poco in scena è uno dei principali protagonisti e uno dei personaggi più particolare. Musicista collega di Marc è un omosessuale che si vergogna a farlo sapere in giro tanto che quando l’amico lo raggiungerà a casa di un travestito trasmetterà disagio. E’ il figlio di Marta, l’assassino, Clara Calamai e l’asseconda addirittura coprendole le spalle con la sua stessa faccia. Clara Calamai è l’assassino e chi se lo sarebbe aspettato? Invece in una delle prime sequenze se fermiamo un frame mentre Marc si aggira per la casa di Helga la vediamo in un quadro che si scoprirà essere uno specchio. Compare pochissimo nel film e sempre quando Marc cercherà Carlo e troverà lei, un caso? E’ un’attrice caduta in disgrazia, come spesso succede, perché il suo matrimonio l’ha relegata alla vita casalinga e mostra con fierezza al protagonista le sue foto di glorie passate (foto d’epoca reali di Clara). Nella parte finale del film ci troviamo poi a rivivere il flashback prospettato nei titoli di testa. Clara Calamai nonostante abbia la sua età si finge perfettamente una donna di giovane età e profondamente disturbata. Nel ritorno alla realtà il suo sembiante è sempre lo stesso e il suo comportamento deviato diventa quasi inquietante. La sua presenza è un implicito inchino alla storia del cinema italiano. La  pellicola è imperniato di questi personaggi che anche se hanno una partecipazione minima nella storia sono invece fondamentali per descrivere la dimensione disturbata del racconto: l’uomo sulla sedia a rotelle nel corridoio dell’aula dove si svolge il congresso di parapsicologia; l’uomo che tenta di sistemare il suo apparecchio acustico sempre nella folla del congresso; la bambina che mette gli spilloni sulle lucertole; il padre che invece di aiutarla la asseconda; la donna anziana che ignora la tv dove stanno comunicando gli efferati delitti; l’inquietante governante di casa Righetti. Il contaminare la storia con questi personaggi macabri a volte in maniera del tutto superflua serve molto di più a creare un leit-motiv che a dare un ruolo reale a quei personaggi. E questi personaggi, anche se il timing con loro è crudele, riescono a calarsi perfettamente. Eccezionale è la prova della bambina Nicoletta Elmi. Appena undicenne al tempo è la bambina che ha copiato il disegno fatto da Carlo quand’era piccolo e ritrovato nell’archivio della scuola elementare. Questo piccolo indizio non è pretestuoso e infondato è invece fondamentale. In questo personaggio è racchiuso tutto un mondo di devastazione che accompagna i personaggi di questo film. La bambina è seriamente deviata, nei suoi giochi sadici si diverte a mettere degli spilloni su delle lucertole. Il padre più che sgridarla non può fare è come un piccolo uomo che da solo non può combattere contro una tale perversione. La madre neanche c’è e non sappiamo nemmeno se sia ancora in vita o presente. La bambina riassume molte cose ed è come un alter-ego di Carlo. E’ la parte innocente pronta ad esplodere come lo era Carlo quando molti anni prima assistito all’omicidio del padre a scuola lo descriveva attraverso disegni macabri. Dario sembra fare questo, la sua sembra un intenzione ben precisa, quella di costruire un telaio imperniato dalla perversione. Perversione che assumerà i connotati di filo rosso di tutta la vicenda.
Spazi macabri, nascosti e claustrofobici

 

L’uso dello spazio rispetto al tempo è dominante in questa pellicola. Il luogo, la casa, la villa, il pianerottolo, lo studio, la sala congressi, il bagno è questo che spaventa e inquieta più che la violenza. Nessun viaggio nel profondo, nessuna corsa disperata in un bosco, nessun assassino che ci rincorre con una motosega in spazi sperduti ma solo luoghi comuni, di tutti giorni, della vita comune. Il buio e lo sviluppo accelerato dell’azione ci portano all’interno di un incubo quotidiano. La familiarità degli omicidi è sovrana. Helga Ulmann viene uccisa nel suo salotto, Amanda Righetti nel suo bagno, Giordani nel suo studio, Marta-Calamai sul suo pianerottolo. Solo Carlo viene ucciso per strada ma il suo omicidio è involontario, è un fatto più che inconsapevole che viene eseguito da un auto che sopraggiunge in corsa e va a impattare con la sua testa terminale del suo corpo steso a terra.                                                                                                                                                                                           Il luogo familiare è quindi un ulteriore motivo di terrore come se il killer aspetti il momento della nostra più assoluta fragilità, come se fosse seduto proprio dietro la nostra poltrona mentre in tv guardiamoProfondo Rosso. Nel momento preciso poi dell’omicidio lo spazio si fa ristretto e claustrofobico. Helga è costretta contro una finestra che le provoca la morte quasi istantanea. Giordani è chiuso tra una libreria e un mobile e ancor di più tra i loro spigoli che sporgono. Amanda Righetti viene spinta con la testa nella sua vasca e viene fatta affogare. Marta è addirittura decapitata dall’azione dell’ascensore a cui è inchiodata per colpa della sua collanina. Sembra quasi che il killer come reo di una colpevolezza lampante decida di scaricare la colpa contro oggetti di uso quotidiano che creano una morte indiretta, infatti non è mai il killer a impugnare l’arma che sarà fatale: il vetro è saldo su una finestra, l’acqua è in una vasca, gli spigoli fanno parte della costruzione dello studio. Claustrofobia, senso di impotenza, ogni vittima ha zero possibilità di sbocchi, zero vie di fuga. Lo spazio risulta funzionare in un discorso che coinvolge il tempo che invece risulta assai dilatato, portato al massimo, per far aumentare la suspense fino a farla esplodere.
In Profondo Rosso il discorso dello spazio è quindi fondante. Tramite un uso della mdp coinvolgente e dinamico ci ritroviamo costretti in una condizione di totale impotenza. Prendiamo, di nuovo, l’omicidio di Amanda Righetti. Inspiegabile è come lei si rinchiuda nel suo spazio domestico una volta assoldato che c’è qualcuno che quello spazio lo sta violando. Si attacca allo spazio e vedere il bus con la domestica che parte è come se le tagliasse un po’ le gambe. La sua posizione poi all’interno della sua abitazione domestica è subito debole e impotente. Si siede per terra tra una poltrona e una libreria credendo che un ferro per la lana possa bastare per cacciare via tutto ciò di macabro che sta per avvenire. Lo stile è poi un modo per incentivare questo stato di perenne claustrofobia. I veloci dettagli che scorrono ci portano a capire che possiamo essere attaccati da un momento all’altro.
La location scelta è per la prima volta la tanto cara Torino.[16] Il capoluogo piemontese ben si adatta al clima del film e anche se qualche elemento spiazzante cerca di condurci a Roma e palesemente riconoscibile. La famosa “villa del bambino urlante” o più nota “villa Scott” è la villa perlustrata da Marc anche se ufficialmente per lavori non vi ci sarà permesso entrare; la piazza dove dialogano Marc e Carl è Piazza CNL. La piazza è un ambiente a pura connotazione simbolica. Marc e Carlo in questa piazza immensi sembrano come essere chiusi in un dialogo che gli fa quasi intimi. La luce poi è innaturale. Nell’angolo Argento ha voluto omaggiare Edward Hopper riprendendo il tema del suo Nighthawks. La pittura ritrae un bar illuminato al lato di una strada buia e Argento decise di creare proprio quest’effetto proprio per girare il film. Al centro della piazza poi una fontana immensa dove Carlo e Marc si siedono per parlare. In questa scena, in questo spazio claustrofobico per antonomasia è riassunta la fotografia del film. Una luce innaturale che pervade una piazza notturna. Un gioco di luci che ci prospetta una visione simbolica e si frappone alle atrocità che succedono proprio a pochi passi da lì nella casa di Helga Ulmann nelle primissime sequenze.
In questo discorso dello spazio entra prepotentemente la musica che nel cinema di Argento non è solo un espediente ma un vero e proprio mezzo cinematografico. La musica dei Goblin[17] risulterà fondamentale in un processo di estremizzazione sia acustica che visiva in Profondo Rosso. Il rapporto con Ennio Morricone, con il quale Dario aveva lavorato nei suoi film precedenti, si era interrotto da diverso tempo per via di una scaramuccia, lo stesso Dario chiarirà che si era permesso di contestare gli spartiti del maestro e che questo ad Ennio non era andato giù. La produzione aveva già ingaggiato Giorgio Gaslini un musicista del settore emergente e molto promettente con cui Dario aveva collaborato già nel deludente Le cinque giornate. Dario allora si mobilitò lui stesso in persona per assoldare questo gruppo di giovani promesse, tutti laureati al conservatorio, di cui tempo prima aveva sentito una demo tratta dall’album Cherry Five e da cui prenderà il tema The Swan is a murder.[18] Quello con i Goblin fu senza dubbio un altro sodalizio molto ben riuscito che porterà Argento a collaborare anche dopo lo scioglimento del gruppo con il leader Claudio Simonetti. L’innovazione di Dario in Profondo Rosso è stata quella di saper ampiamente mescolare una nenia infantile a una musica incalzante e progressiva. Le due musiche ricompariranno entrambe e ben combinate nei momenti di terrore e morte. Gran conoscitore di musica il regista romano nel suo film successivo , Suspiria, collabora ancora con i Goblin ma stavolta il tema principale deriva da una sua idea. Racconta spesso di essere stato in viaggio in Grecia e di aver per caso ascoltato a una fiera il suono di uno strumento ai più sconosciuto il bouzouki.[19] Uno strumento musicale greco; è un cordofono e le sue origini risalgono all’ antico strumento pandura. Il suono di questo strumento a corde risulta molto acuto e per questo inquietante e venne riadattato per il tema principale. La collaborazione si interruppe perché in Inferno si decise di puntare su Keith Emerson con un grande successo.[20] Argento lavorò anche con il noto Pino Donaggio soprattutto in America quando la produzione chiese un nome italiano famoso anche all’estero. A livello musicale il film più sperimentale ma anche il più riuscito è senza dubbioOpera. Sempre di Dario fu l’idea di usare l’heavy metal durante gli omicidi così da raddoppiare il terrore che il film, ad alto contenuto gore, già aveva di suo.[21]L’innovazione argentiana è facile da notare. Argento è riuscito in molti dei suoi film a trovare questa dualità ovvia ma sconosciuta agli altri. Ha avvicinato il rock all’horror dimostrando che la tensione non è alimentata solo dalle immagini ma anche dal contesto acustico che vi è costruito intorno.
La musica è stata poi combinata a un uso dello spazio claustrofobico. Questa attenzione per l’accompagnarsi dei due ci porta di fronte a un nuovo modo di fare cinema che si rende conto di essere uno strumento perfetto e una macchina creatrice di emozioni. Uno meccanismo nelle mani di un regista che tramite esso si sente in grado di far rivivere agli spettatori qualunque emozione e sensazione. In questo discorso la musica, lo spazio e il tempo assumono il compito di coordinate e rendono il gioco interessante. Danno delle connotazioni vere e reali al film, contribuendo  nel dare al protagonista la possibilità di essere al centro di esse.


Le mani di Dario come strumento di regia

Nella sequenza iniziale de L’uccello dalle piume di cristallo si nota una macchina da scrivere e delle mani coperte da dei guanti di pelle che estraggono un foglio da essa. Su questo foglio c’è scritto: “ Sandra Roversi. 18 anni. Incontro tra Via dei Mirti e Via Belgrado. Ore 21. Proseguire fino ai giardinetti. Lì”. E’ così che parte l’esperienza cinematografica di Dario Argento, con uno dei suoi topoi più comuni: le mani con guanto.
Timing 11:34, Sequenza IV, in Profondo Rosso compaiono le mani che poi saranno presenti in tutto il diramarsi della pellicola.[22] La soggettiva è lo strumento usato quando questo espediente compare. Viene fatto un uso celibe e le mani con i guanti danno una connotazione al nostro killer celato. Il volto non ci viene mai mostrato, neanche nel sembiante coperto di una calza come veniva fatto da Mario Bava.[23] Le mani diventano un simbolo del cinema argentiano in quanto sono: violente; presenti; hanno una forza dirompente e vibrante; ci danno emozioni esprimendo violenza e spaventandoci; sono dietro di noi e su di noi; le sentiamo sul collo se sul corpo; sono pronte ad attaccarci. La scelta radicale è quella del regista di impersonarle quasi sempre.[24] Non per egocentrismo ma per volontà creatrice. Dario sente quei sentimenti e come suoi vuole descriverli, semplicemente perché se quel gesto fosse fatto da un’altra persona non sarebbe stato lo stesso. Anche in questo caso Argento estremizza.
Non ha voglia di spiegare ma non perché vuole velocizzare le procedure ma perché la sua è una continua ricerca creativa: stringe colli; spinge persone su spigoli; prepara e scruta coltelli e lame; si avventa. “Solo io potevo sapere come doveva colpire la mano dell’omicida” questo dirà.
In Profondo Rosso questo richiamo è continuamente presente e ci dimostra molto del modo registico dell’autore. E’ un regista presente sul set e ancora di più è attivo.[25] Partecipa all’azione e se ne rende protagonista fino ad arrivare alla soglia che segna l’entrata nel cast degli attori. Estremizza a tal punto da arrivare talvolta ad esagerare. Quello che dice Leopoldo mastelloni riguardo a Inferno è indicativo: “Nel film si scopre il mio cadavere con gli occhi già belli e cavati. Muoio strozzato dalla corda di una tenda. Dario volle eseguire l’omicidio ma strinse talmente forte da farmi svenire. Il giorno dopo gli dissi che mi stava per ammazzare sul serio, la prese a ridere dicendo che intanto per il film non servivo più”.[26] Indice anche questo di un rapporto diretto con il pro filmico.
Dario dimostra di essere maestro e rivoluzionario anche in questo. Nessuno si era spinto tanto in là, il massimo ottenuto consisteva nel rendersi operatori dei propri film o al massimo qualcuno si era concesso qualche cammeo di fortuna. Vengono nuovamente spezzati tutti gli schemi e viene sovvertito il punto di vista generale. Sono questi particolari che sovvertono e trasformano un normale regista in eccelso.
In tutto questo coincide un uso particolare e rivoluzionario della mdp. L’evoluzione dello stile cinematografico del regista da Profondo Rosso in poi è quello di cercare un ambiente puramente simbolico. Ricorrendo al piano sequenza e ad altre esperienze tecniche innovative ci troviamo di fronte a un viaggio in luoghi che rappresentano anfratti psicologici soprattutto in riferimento al killer e la grande saga dei dettagli trionfa in un gioco continuo di movimenti di macchina mai banali e statici.

Sei donne per Profondo Rosso
Le fonti di Argento

Fonti di ispirazione o semplici citazioni questo è ciò che ricorre nella tematica argentiana. Partendo dall’analisi approfondita di Profondo Rosso sembra invece chiaro che ci troviamo di fronte a una pellicola che rivoluziona i generi anche se ci sono diversi punti di contatto con la cinematografia del tempo. Dario Argento rompe già dopo pochi minuti dall’inizio del film con la struttura giallistica quando in campo interviene l’uso dello Snorkel.[27] Nonostante questo rompere con il passato il regista romano omaggia due classici: L’esorcista di William Friedkin (1973) nella fulminea sequenza dei due cani che si azzuffano; e La scala a chiocciola di Robert Siodmak (1946) con l’occhio dell’assassino che spia la vittima nell’oscurità di un armadio a muro.[28]
L’opera, invece, a cui più si avvicina per tematiche e per metro registico è Sei Donne per l’assassino. La pellicola di Bava crea quella figura del boudy count impermeabile e guanti neri, il primo dei tanti serial killer che caratterizzerà il cinema di Dario Argento ed italiano in genere. Ci troviamo di fronte a un sicuro antenato della pellicola argentiana. La struttura è sicuramente diversa, la struttura giallistica in cui la polizia ha un ruolo fondamentale qui è predominante mentre in Argento di certo questo ruolo viene meno. Quello che accomuna i due lungometraggi è l’atmosfera, il dolore e la sofferenza che si sente nell’aria. Dietro un modo tecnico di vedere il cinema sicuramente diverso si enuncia un modo di viverlo se non uguale, simile. Lo stile fornisce quei due modi tecnici completamente diversi. Argento argomenta il suo discorso sfruttando un uso della soggettiva dell’assassino che rende tutto molto personale e che carica la suspence. I numerosi piani sequenza, in cui si vedono e raccordano percorsi, sono alternati da stacchi improvvisi su dettagli che anticipano azioni. Bava lavora sugli stacchi, su continui zoom, sulla velocità e su un ritmo leggero. La sua macchina da presa, a differenza di Argento, è più mobile, meno legata, crea meno suspence ma non per mancanza, per necessità espressive. E più che di fronte alla “soggettiva celibe” dell’assassino, come sostiene Crispino per il cinema argentiano, ci troviamo di fronte a una soggettiva del cadavere. Quando la ragazza nell’atelier, il secondo omicidio, si trova di fronte il killer esso la colpisce con una mano uncinata. Il suo colpirlo è alternato da mezze figure e soggettive della donna che viene colpita, una pratica già vista in Mario Bava nella sequenza introduttiva de La Maschera del Demonio quando alla strega Barbara Steel viene appuntata in faccia la maschera appunto.
Quando ci troviamo di fronte a due film totalmente diversi ci rendiamo conto di avere davanti due film molto simili. L’omicidio nell’atelier infatti ricalca se non alla perfezione ma con continui richiama l’omicidio Righetti. L’assassino cela il suo volto e porta il classico impermeabile da killer.
Il dettaglio dell’interruttore ci avvisa che l’intento dell’assassino è quello di lasciare la vittima al buio. Calano le tenebre e il killer colpisce. In Bava la donna è più violenta cerca di reagire e non è subito uccisa perché rea di nascondere qualcosa che interessa a chi la sta importunando; in Argento la sequenza è più violenta e Amanda Righetti prima viene colpita e poi ustionata nella vasca del suo bagno. Gli omicidi che poi si susseguono nel film di Bava hanno la stessa caratteristica di quelli del collega sono tutti quotidiani. La donna rapita nell’atelier viene ustionata contro un corpo incandescente come Amanda uccisa con l’acqua bollente; la donna soffocata con il cuscino; la donna affogata alla fine nell’acqua sempre con un gesto che ricorda Amanda Righetti.
Il fatto che poi siano tutte donne a morire è l’ennesimo richiamo che Argento conoscesse il cinema di Bava. Dario estremizza tutti questi comportamenti di Bava anche il fatto che a compiere diversi omicidi in questo film sia una donna. La perversione misogina di questo film in Argento è portata all’estrema. La figura della contessa Cristina rassomiglia a Monica Ranieri[29] soprattutto in quel suo vagheggiare quasi estasiato dagli omicidi che le provoca l’alcool. Argento senza nessun dubbio risulta più violento, più feroce ma comunque sembra strizzare l’occhio a Mario Bava e nessuno sembra aver mai negato questa sua predilezione. Il merito di Dario sta proprio nell’aver estremizzato queste caratteristiche permeandole anche del suo.
Un altro film di cui senza dubbio vive di luce riflessa Profondo Rosso è L’etrusco uccide ancora di Armando Crispino. Ai più forse non ben noto, questo film del 1972 irradia di luce i film di genere del periodo. E’ innovativo l’uso dello “sguardo interiore”. Il regista usa la mdp ponendola su una sonda sperimentale della “Fondazione Lerici” per andare a scavare all’interno delle tombe etrusche di Cerveteri. Argento estremizza questo modo di vedere usando lo Snorkel nelle sequenza introspettive del killer e del suo “studio”. [30] Pochi secondi di riprese e spilloni; coltelli; occhi truccati da matite pesanti; bambole; strumenti di tortura ci descrivono e ci dicono qualcosa di questa figura inquietante.
Tutto questo divagare tra artisti di vario genere ci dice qualcosa in più di Dario e di Profondo Rosso. Una pellicola diversa dalle altre che rompe con il passato e il presente ma che nonostante questo impara dal passato per superarlo e portarlo al limite. Estremizzarlo.


[1] Su Profondo rosso come “centro irradiatore” del cinema argentiano nonché sul discorso della percezione traslata Cfr. saggio di Federica Villa, Occhi e parole come lame di coltelli, in Il cinema del riflusso, a cura di Lino Miccichè, Marsilio, Venezia 1997, pp. 301-313.

[2] Da un lato Argento aveva dichiarato che il suo primo film gli era stato suggerito in sogno dallo stesso Hitchcock; dall’altro dichiara che la sua fonte di ispirazione è il Fritz Lang europeo del Mabuse;

[3] Il frame è la foto che sta all’inizio di questa sezione;

[4] Cfr. Federica Villa, Occhi come lame di coltelli, op. cit. p.22;

[5] Ne.L’uccello dalle piume di cristallo a fare il gioco del detective è uno scrittore americano; ne Il gatto a nove code a tenere le briglie è un curioso giornalista; inQuattro mosche di velluto grigio un batterista e così via.

[6] Dichiarazione estratta da Dario Argento confessioni di un maestro dell’horror, un libro intervista di Fabio Maiello, ed. Alacran, Milano, 2007

[7] Cfr. Francesco Crispino, Riflessi in un occhio d’Argento, in Argento Vivo, a cura di Vito Zagarrio, Marsilio Editore, Venezia, 2008.  << La soggettiva dell’assassino, la cui paternità è da qualcuno indebitamente attribuita ad Argento, in realtà fu utilizzata per primo da Henry Wilson, alias Luigi Mangini, nel suo La jena di Londra (1964) e immediatamente dopo da Mario Bava in Sei donne per l’assassino(1964), film dove peraltro esordisce anche la figura del body count impermeabile e guanti neri, il primo dei tanti serial-killer>>;

[8] Il titolo di questa sezione è già il titolo di un noto libro Profonde Tenebre di Antonio Bruschini e Antonio Tentori con appendice di Luigi Cozzi, ed. Profondo Rosso, Roma, 2001;

[9] Ne è l’esempio emblematico Opera in cui il trattamento riservato alla protagonista a cui vengono applicati degli spilli con del nastro adesivo alle palpebre per impedirgli di chiudere gli occhi durante omicidi composti alla vista di essa;

[10] La spiegazione tecnica dello Snorkel è enunciata in Dario Argento Confessioni di un maestro dell’horror, un libro intervista di Fabio Maiello, ed. Alacran 2007;

Per il parallelo con lo sguardo interno di Armando Crispino cfr. Francesco Crispino, Riflessi in un occhio d’argento, in Argento Vivo, op. cit. p. 25;

[11] Idea voluta fortemente da Argento perché altrimenti considerata innaturale.

[12] Il co-scenggiatore Bernardino Zapponi si spinge più in là: “Partii dall’assunto che per riuscire a impaurire profondamente il pubblico, gli si dovessero proporre situazioni nelle quali era facile identificarsi. I suggerimenti più “fisici”, soprattutto nelle scene di omicidio, fui io a fornirli… Anche la trovata finale dell’ascensore è mia. Nel palazzo di Roma in cui abitavo c’era un vecchio ascensore, di quelli con due pulsanti, uno per la chiamata e uno per l’invio, e lo spunto per la scena mi venne proprio da lì..”. La dichiarazione di Bernardo Zapponi è tratta da Dario Argento confessioni di un maestro dell’horror, op. cit. p. 30;

[13] Cfr. Mauro Gervasoni, Nocturno Dossier Le porte sul buio: il cinema, la vita, le opere di Dario Argento; ed. Cinema Bis Communication srl, p. 17;

[14] Cfr. Sei Donne per l’assassino; M. Bava (1964); l’omicidio nell’atelier

[15] Viene usato il Louma un macchinario allora molto ingombrante e poco agile creato in Francia

[16] Torino sarà una delle location di riferimento della filmografia argentiana. Oltre a Profondo Rosso basti citare alcune parti da Il gatto a nove code; Quattro mosche di velluto grigio e interamente NonhosonnoTi piace HitchcockGiallo;

[17] Anche se per motivi di produzione nei titoli risulta di Giorgio Gaslini;

[18] Tema che sarà riutilizzato in Suspiria;

[19] Cfr. Documentario con interviste a Dario Argento e Daria Nicolodi inserito nel dvd ediszione speciale 25 anniversario dell’uscita di Suspiria;

[20] Anni dopo durante le riprese de La chiesa del suo Soavi, Dario rimase deluso quando rincontrò Emerson perché il suo genio era già evidentemente appassito.

[21] Per il contesto musicale Cfr. Nocturno Dossier Le porte sul buio: il cinema, la vita, le opere di Dario Argento; saggio E suono rock Argento e la musica ; ed. Cinema bis Communication srl; pp.16-19;

[22] Omicidio Helga Ulmann (seq. V); tavolo (seq. XVII); omicidio Righetti (seq. XVIII); omicidio Giordani (seq. XXVI);

[23] Cfr. Sei Donne per un assassino di Mario Bava

[24] Capita a volte che per spiacevoli contrattempi non possano essere quelle di Dario. Come ad esempio in Nonhosonno i guanti essendo troppo piccoli furono indossati da Sergio Stivaletti;

[25] A dimostrazione che ogni concetto si può estremizzare.

[26] Gli estratti sono presi da Dario Argento Confessioni di un maestro dell’horror, op. cit. p. 24;

[27] Dario Argento fino ad allora si era adattato alla vigente struttura giallistica derivante da La Ragazza che sapeva troppo (1962) di Mario Bava, reinventando un genere chiamato poi Thriller all’italiana;

[28] Cfr. COLOMBO, Maurizio e TENTORI, Antonio, Lo schermo insanguinato, Milano, Mario Solfanelli, Milano,1990, p. 74;

 

 

[29] Monica Ranieri è l’assassino de L’uccello dalle piume di cristallo. Opera prima di Argento;

[30] Cfr. Francesco Crispino, Riflessi in un occhio d’Argento, in Argento Vivo, op. cit. p.25 ;

 

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