Grind House, Quentin Tarantino non ha mai finito di stupire

GRIND HOUSE TARANTINO –
Titolo originale:
Death Proof
Nazione: Usa
Regia: Quentin Tarantino
Soggetto: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Musica: AA. VV.
Cast: Quentin Tarantino; Kurt Russell; Sydney Taimilia Poitier; Vanessa Ferlito; Jordan Ladd; Rose McGowan; Rosario Dawson; Tracie Thoms; Mary Elizabeth Winstead; Zoe Bell; Eli Roth; Michael Parks; James Parks; Marley Shelton; Jonathan Lougharan; Monica Staggs; Electra Avellan; Elise Avellan
Durata:
127’

 

Valutazione   * * / * * * *

 

Trama
Kurt Russell è uno psicopatico, ex stuntman, che si diverte ad assalire con la sua macchina, a prova di morte, giovani svagate ragazze in giro per la contea americana. Quando incontrerà Abemathy, Zoe e Kim avrà delle grosse sorprese.

 

Recensione
A tre anni di distanza dal secondo volume di Kill bill Quentin Tarantino torna dietro la macchina da presa. Stavolta con un film di sicuro impatto sia visivo che narrativo ma che sicuramente lascia alcune perplessità. Uscito solamente in America e in Francia legato a Planet Terror di Robert Rodriguez e intervallato da alcuni finti Trailer girati tra gli altri da Rob Zombie e Eli Roth, racconta la storia di Mike, un ex stuntman che ha progettato una macchina a prova di morte e che si diverte a seminare il panico tra giovani ragazze in cerca di facili emozioni. Di per sé la pellicola è accettabile, anche se il fatto di dividerlo dall’altro è stata una vera stupidaggine, se poi si pensa a quello che ha fatto in carriera questo regista rimane un po’ l’amaro in bocca. Ancora una volta, come in Kill Bill ma anche ne Le iene, si nota subito la grande conoscenza del cinema e ci troviamo dentro a un vorticoso gioco di citazioni, come non ricordare la sequenza vista dietro l’obiettivo di una macchina fotografica e rallentato seguendo la musica di Ennio Morricone da L’uccello dalle piume di Cristallo di Dario Argento?
L’amaro che ci arriva è senza dubbio dalla cattiva abitudine di aspettarsi sempre di più da chi ci ha dato tanto, e così arrivano i dubbi: sul perché si debba sempre puntare sul cattivone di turno, interpretato da uno sfatto Kurt Russel che di Fuga da New York ha solo la cattiveria; del motivo per cui compie questi atti e soprattutto perché mancano i continui sbalzi a cui ci ha abituato il regista americano.
Un buon film da vedere ma da considerare un’opera minore di un grandissimo regista.

 

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