LA ZONA MORTA CRONENBERG WALKEN –
Titolo originale: The Dead Zone
Nazione: USA
Regia: David Cronenberg
Soggetto: Stephen King (romanzo)
Sceneggiatura: Jeffrey Boam
Musica:
Cast:
Durata: 103′
VALUTAZIONE: * * * 1/2 / * * * *
Recensione:
Quinto film di un regista decisamente importante nella storia del cinema di genere David Cronenberg. Dopo Il demone sotto la pelle, Rabid, Brood e Scanners e prima di Videodrome, La mosca e Crash il film si colloca come uno spartiacque. Segna il punto di passaggio nell’ambito della Fantascienza Cronberghiana. La percezione trasla da un immaginario horrorifico per perdersi in questo film e soprattutto nel successivo, Videodrome, in una dimensione più fantascientifica.
Johnny Smith, un professore di lettere, cade in coma in seguito a un incidente stradale. Al suo risveglio si troverà ad avere il potere della preveggenza. Riuscirà a salvare la vita a diverse persone fino a diventare un fenomeno nazionale. Fino a quando stringendo la mano a un candidato alla presidenza scoprirà la futura distruzione nucleare del suo paese.
Cronenberg compone l’ennesimo film di denuncia sociale a tinte fantascientifiche e si serve come in altre occasioni di un maestro di penna, in questo caso Stephen King. Sfiorando tinte horrorifiche ci troviamo di fronte a un film di una complessità e completezza assolute. Oltre a raccontare la parabola ascendente di un uomo dai poteri straordinari ci troviamo di fronte a una complessa storia d’amore che si insegue lungo diversi anni, quasi un decennio, e si deve scontrare con un brutto ostacolo come il coma ma che rinasce anche di fronte a un matrimonio estraneo. Proprio nell’abbraccio dell’ultima scena ci troviamo di fronte al cuore di ciò che il regista voleva esprimere e di come le tinte rosa a volte sono anche se sconfitte più forti e indelebili di quelle nere. Quelle parole pronunciate proprio sul gong del timing, “Ti amo”, ci fanno rivenire in mente le parole di un noto poeta: “Vincere o perdere, l’importante è vincere o perdere da uomini”.
Nell’antologia di questo discorso rientra poi un qualcosa di ancora più ampio, il tutto è solo motivo di spunto per andare ancora una volta a colpire lì nella labirinto perso della critica della società americana che magari a noi italiani giunge in luce sfocata ma è il punto principale su cui gravita la matassa del film.
Christopher Walken impersona senza difficoltà una figura di una complessità disarmante e ci riesce con disinvoltura tanto da dar l’impressione di far trasparire una storia reale. Nei crocevia che catturano la nostra mente durante la visione ci ritroviamo quindi a commuoverci, spaventarci e a riflettere davanti a una pellicola che nasce come pretestuoso filmetto di provincia americana fino ad arrivare alle soglie del film d’autore scavalcandolo quando poi ci accorgiamo che il regista in persona non è un semplice autore è David Cronenberg.
Matteo Fantozzi