A SERIOUS MAN IN DVD –
Titolo originale: A serious man
Nazione: Usa
Regia: Joel & Ethan Coen
Sceneggiatura: Joel & Ethan Coen
Musica: Carter Burwell
Cast: Michael Stuhlbarg; Richard Kind; Fred Melamed; Sari Lennick; Adam Arkin
Durata: 105′
Valutazione
* * * ½ / * * * *
Trama
1967, Mid West, Larry Gopnik è un professore di mezz’età che sembra non aver nessuna pretesa nella sua vita se non quella di stare tranquillo. Fino a quando dalla richiesta di divorzio della moglie inizieranno a succedergliene di tutti i colori.
Recensione
Il film pone concettualmente una domanda a chi lo sta guardando: si può riuscire a fare un capolavoro con uno stile asciutto e sintetico e senza raccontare niente di straordinario almeno all’apparenza? La risposta è duale, sicuramente non ci possiamo appellare al termine di pietra miliare ma il loro obiettivo è colpito in centro.
Larry Gopnik è un professore che sembra non aver nessun’altra pretesa nella vita che quella di stare tranquillo, e questo sembra essere all’ordine del giorno per lui. Fino a quando la moglie gli confessa di avere una relazione con il suo presuntuoso amico Sy Ableman e gli chiede il divorzio. Senza troppa velocità precipita nella squallida abitazione a ore del “Jolly Roger” insieme a suo fratello, uno scanzonato perdigiorno. Niente è più come prima e quella pacata normalità sembra rivelare tutti i suoi scheletri nell’armadio. Larry si ritrova avvolto in una spirale di contrattempi che assommati gli recano non pochi problemi. I fratelli Coen, come spesso abituati, descrivono una situazione insolita e frustrante non senza ironia, perchè nonostante si voglia far riflettere si ride anche in questa Black-comedy. Il protagonista, uno strepitoso Michael Stuhlbarg, non perde il senno di fronte alle più disparate disavventure fino alla chiusura che taglia di netto tutte le nostre aspettative. I titoli di coda scorrono sul video senza lasciarci il tempo di realizzare e concludendo la pellicola all’insegna di uno stile che non si presta mai ad artefatti anti naturalisti.
Cinepresa spesso intellettuale non spaventa la visione di un non-addetto ai lavori e si passano tranquillamente quasi due ore come se si stesse assistendo a un semplice spaccato di vita. Dietro questo un enorme quantità di messaggi da criptare che hanno a che fare molto anche con l’ambiente di crescita ebraico dei registi, che più di una volta hanno tenuto a precisare di non voler offendere nessuno e di essere più ebrei per etnia che per credo.
Quello che emerge, oltre a un elaborata analisi del mondo yiddish, è la volontà di dimostrare di saper usare la macchina cinema e di saperne riconoscere le sue modalità, esplodendo delle volte ma senza mai essere presuntuosi o inopportuni.
Matteo Fantozzi